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Giubileo dei cori parrocchiali, il vescovo Massaro: “Siate cuori che cantano con il popolo di Dio”

Redazione Abruzzo di Redazione Abruzzo
13 Ottobre 2025
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Avezzano. Giubileo dei cori parrocchiali, il vescovo Massaro: “Siate cuori che cantano con il popolo di Dio”.
Ieri pomeriggio si è tenuto il Giubileo diocesano dei Cori parrocchiali. L’appuntamento per tutti i coristi, i direttori delle corali e gli animatori della liturgia è stato alle 17 presso la Chiesa di San Rocco ad Avezzano per le prove di canto tutti insieme. Da lì è poi partito il pellegrinaggio a piedi verso la Cattedrale dove alle 18.30 il vescovo Giovanni Massaro ha presieduto la Celebrazione Eucaristica. L’iniziativa è stata promossa da don Andrea De Foglio, responsabile dell’Ufficio Musica Sacra insieme all’equipe diocesana.
“Cari fratelli e sorelle, cari coristi, cari amici, dopo il nostro pellegrinaggio dalla chiesa di San Rocco, eccoci giunti nella casa madre della nostra Chiesa diocesana: la Cattedrale di Avezzano”. Ha detto il vescovo durante l’Omelia.
“Oggi celebriamo con gioia il Giubileo dei cori parrocchiali, un momento di grazia e di riconoscenza per il dono che ciascuno di voi, con la vostra voce e il vostro servizio, offre alla liturgia e alla vita della Chiesa.
Grazie per essere qui. Siete giunti dai diversi paesi della diocesi. Ringrazio Don Andrea e l’equipe della sezione musica sacra dell’ufficio liturgico diocesano per aver voluto e organizzato questo momento importante di vita diocesana. Il nostro ritrovarci insieme si inserisce nel cammino del Giubileo della Speranza, che stiamo vivendo come Chiesa universale. Siamo, anche noi, pellegrini di speranza, e lo siamo in modo speciale cantando, elevando la nostra voce a Dio con gratitudine, con fede, con bellezza. Le letture della liturgia di questa 28ª domenica ci introducono proprio nel cuore della nostra celebrazione: il ringraziamento.
Nella prima lettura, il generale Naamàn, guarito dalla lebbra, ritorna dal profeta Eliseo e offre doni in segno di riconoscenza. Non solo è guarito nel corpo, ma anche nello spirito: riconosce che non c’è altro Dio all’infuori del Signore di Israele. È un pagano che si converte, ed è la gratitudine il primo segno della sua fede.
Nel Vangelo di Luca, solo uno dei dieci lebbrosi guariti – un samaritano, quindi un estraneo – torna indietro per ringraziare Gesù. Gesù nota la cosa con amarezza: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?” Quel samaritano, tornando a ringraziare, fa un passo ulteriore: da guarito diventa salvato. La gratitudine lo conduce a una relazione più profonda con Dio.
Anche per voi, cari coristi, il canto è un modo per dire grazie. Ogni vostra nota, ogni vostra armonia, ogni fatica condivisa nelle prove e nel servizio è un “grazie” offerto a Dio, un “grazie” che si fa preghiera, supplica, esultanza.
Siamo qui oggi per ringraziarvi, coristi delle nostre comunità parrocchiali, per il servizio liturgico che svolgete con passione e dedizione. Ma anche per ricordarvi, con affetto paterno, che il canto nella liturgia non è un ornamento, né uno “spettacolo” per pochi: è parte integrante della celebrazione.
Il Concilio Vaticano II, nella Sacrosanctum Concilium, ci ricorda che il canto sacro ha come scopo quello di coinvolgere l’assemblea, di elevare il cuore di tutti a Dio, di rendere la liturgia più viva e partecipata. Voi siete servitori del canto dell’assemblea, e non protagonisti. Ma proprio in questa discrezione si nasconde la vostra grandezza. Siate sempre ponte, non schermo. Siate guida, non barriera. Siate cuori che cantano con il popolo di Dio, non sopra il popolo. Ricordatevi che la più bella armonia si realizza quando tutta l’assemblea canta, anche se con voci imperfette. Il vostro ruolo è aiutare questa sinfonia di fede e di speranza.
Il Giubileo che stiamo vivendo ci invita a essere seminatori e pellegrini di speranza. Ma che cosa significa, concretamente, per voi? Significa essere cori che aprono cammini, non che li chiudono. Cori che si mettono in cammino, che si lasciano formare, che si rinnovano. Significa non accontentarsi del “si è sempre fatto così”, ma cercare la bellezza che viene dallo Spirito, la fedeltà alla liturgia della Chiesa, la comunione con il resto dell’assemblea.
Essere pellegrini di speranza, per voi, vuol dire anche portare il canto fuori dalle mura del coro: nelle case, nelle strade, nei momenti di festa, nei luoghi di dolore. Il canto sa consolare, sa unire, sa evangelizzare. Voi, con il vostro servizio, potete essere voce della speranza per chi ha smesso di cantare, per chi è scoraggiato, per chi non trova più parole di lode. Nella seconda lettura, San Paolo ci invita: “Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti”. Questo è il cuore di tutto: non cantiamo per noi, ma per Lui. Non lodiamo per un gusto estetico, ma perché Cristo è risorto e ci ha salvati. Il nostro canto nasce dalla memoria viva della Pasqua.
E quando, come dice Paolo, siamo stanchi, afflitti, o persino infedeli, possiamo ricordare che lui rimane fedele. E questo ci basta per continuare a cantare. Anche nei giorni difficili, anche quando le assemblee sono stanche o le voci calano: la speranza ci spinge a non smettere di lodare Dio.
Cari fratelli e sorelle, cari cori parrocchiali, grazie per il vostro servizio, per il vostro impegno, per il vostro cuore. Continuate a camminare, come pellegrini cantori di speranza.
Che la Vergine Maria, la Madre che ha cantato il Magnificat, vi accompagni sempre. E che il Signore vi dia voce, forza, gioia, perché possiate far cantare il popolo di Dio e accompagnarlo nella lode del suo Nome. Amen”.

 

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