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Giovedì gnocchi…e non solo: per “Food” la pulenn di Pupa

Roberta Baldassarre di Roberta Baldassarre
10 Novembre 2016
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polenta_pupa_11“Regione che vai, polenta che trovi”: la fama culinaria di questo cibo povero si è distribuita a macchia d’olio su tutta la penisola italiana. Anche se per lunghi periodi è stata utilizzata come elemento fondamentale per la dieta di località lombarde e venete si possono gustare prelibate varianti di polenta. La sua storia è storia dell’evoluzione dell’uomo. Non solo depositario di un sapere antico e fortemente identitario ma anche un piatto legato al ricordo di potersi riempire facilmente la pancia. Sin dall’era primitiva l’uomo delle caverne si nutriva di cereali che macinava per consumarli. Era certamente in uso tra i Sumeri dove era preparata con miglio e segale, i Greci utilizzavano la farina d’orzo. Ma è il puls dei Romani il vero antenato della polenta che diede allo stesso popolo l’epiteto di “mangiatore di polenta”. Nella sua struttura culinaria la proto-polenta si presentava come un impasto di acqua e farina di cereali, in particolare farro. Solo con la scoperta dell’America e quindi del mais il binomio polenta- mais diventa indissolubile fino ai nostri giorni. Nel Settecento la sua produzione crebbe in modo incontrollato, passando dai giardini alle campagne per far fronte alla fame. Questo secolo fu infatti segnato da una serie ciclica di tremende carestie. Il mais era una soluzione ottimale. Lo stesso Manzoni ce ne dà testimonianza nel VI capitolo die Promessi Sposi. Ma lo strapotere di questo cereale determinò anche uno scadimento qualitativo della dieta contadina, portando in alcuni casi (i più poveri) alla pellagra. Tradizionalmente la polenta veniva consumata secondo un rigido cerimoniale. Nel centro-Italia la polenta è preparata più fluida e servita su una tavola rettangolare di legno chiamata spiandola o spianatoia. Dopo veniva affettata dalla massaia o dal capoccia, con lo spago e non con il coltello. I primi tagli erano due ad angolo retto, poi la si divideva in quattro parti e successivamente in fette di uguale spessore, per agevolarne la rapida distribuzione ai membri della famiglia (anche più di 10) seduti in attesa di ricevere la loro porzione. Il primo a prenderne un pezzo era il capo della famiglia. Fatta solo di acqua e “frumento a granelle grosse e gialle” (così era chiamato inizialmente), un tempo si cuoceva nel camino, in un paiolo di rame (ì cttùr) e si rovesciava direttamente sulla tavola di cucina, poi si versava un sugo molto ricco e grasso per consumarla tutti insieme attorno al tavolo.
Oggi per “Food” sfatiamo il mito della polenta come piatto esclusivo del Nord Italia con la ricetta all’abruzzese di Teresa Lucia Ciaccia, detta Pupa, contenuta in “Cumma faceva mamm”. @baldarobertapolenta_pupa1

Polenta (4 persone)

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Ingredienti

2 litri di acqua

½ kg di farina di granturco

Panonda

Per condimento

Costine di maiale (considerate 3 o 4 pezzi a testa)

1 kg di salsicce. (La quantità di carne varia secondo la grandezza dei pezzi, quindi anche per le salsicce converrà regolarsi a pezzi)

Olio o strutto (come prevedeva la ricetta originale)

Aglio

Rosmarino

Un bicchiere di vino bianco o, in alternativa ½ bicchiere di aceto

Sale

Pepe o peperoncino

Procedimento

Preparazione polenta

Il recipiente di cottura deve essere della giusta misura: l’acqua non deve superare la metà dell’altezza del recipiente, salatela e portatela a ebollizione. Quando sta per bollire (non deve bollire forte), fate scendere un po’ alla volta la farina, mettetela a manciate e non unite la successiva se la precedente non è stata ben amalgamata. Fate molta attenzione a non far formare grumi. Durante la cottura, la polenta deve essere sempre mescolata con un movimento rotatorio e trasversale; non è esatto dire che va girata sempre allo stesso verso, ‘la pulènn vò la còntr’, cioè vuole essere girata anche in senso contrario. A metà cottura potete aggiungere anche un mestolo abbondante di sugo, che si mescolerà alla polenta arricchendola di sapore. Il tempo di cottura si aggira intorno ai 40 minuti, ve ne accorgerete perché comincia a staccarsi dalle pareti della pentola. Allora, con un mestolo bagnato in acqua calda versatela nei piatti di legno, adatti a questa preparazione, e conditela a vostro piacimento. Va mangiata caldissima.

Preparazione panonda

In una padella abbastanza larga e bassa fate rosolare i pezzi di carne in olio (o strutto), girateli per farli colorire, salate e aggiungete le salsicce che avrete bucherellato. Dopo qualche minuto mettete l’aglio con la buccia (vestùto) e schiacciato, il rosmarino, il pepe o, se preferite, il peperoncino e continuate la cottura a fiamma vivace ma non forte, per ancora 40-50 minuti, a pentola coperta e girando ogni tanto. Per terminare la cottura, nella ricetta originale era previsto l’uso dell’aceto, che ognuno aveva in casa: qualche schizzo ogni tanto o diluito in un po’ d’acqua dava al piatto un profumo e un sapore molto più deciso. Ora si preferisce usare il vino bianco, più delicato ma che si lega bene al sapore di questa carne. Intanto, abbrustolite delle fette di pane oppure usate del pane raffermo (rfàtt), mettetelo su un unico grande piatto oppure dividetelo in piatti singoli e versateci sopra i pezzi di carne, le salsicce e anche il grasso profumato con gli odori. Servite ben caldo.

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