Morino. Paraparesi spastica. La diagnosi è arrivata con la gravidanza, quando aveva 22 anni. Sarebbero dovuti essere giorni invasi solo dalla felicità di diventare mamma, di diventare genitore, insieme al compagno ma invece da allora insieme alla consapevolezza sono arrivati anche giorni di sconforto.
Aurelia Simboli ha 24 anni. A luglio ne compirà 25. È originaria di Pescina ma ormai gran parte del suo tempo lo vive a Morino, dall’altra parte della Marsica, un paese immerso nel verde della Valle Roveto. Presto avrà un appartamento per la sua famiglia, intanto, per le incombenze di tutti i giorni, quando è lontana da mamma Antonietta e papà Aurelio, la aiuta la suocera Gabriella.

“La verità è che io non accetto questa malattia”, dice mentre mi racconta di come la sua vita sia cambiata negli ultimi anni, “sognavo il mondo dello spettacolo, volevo fare la modella. Ora è tutto più difficile e riesco a calmare i dolori solo con le medicine”.
Mentre parliamo torna il compagno. Matteo manca da casa da 22 giorni e Aurelia li ha contati uno ad uno. Lavora nell’edilizia e ha un incarico che lo porta distante dai suoi affetti, anche in altre regioni. Un lavoro sì, faticoso, ma che permette a questa piccola famiglia di fare progetti.
“Suonavo nei Leoncini d’Abruzzo”, va avanti la giovane che però nel cuore ha la sua Pescina, che torna sempre in qualsiasi discorso fa. Suonava il sax. “Ho suonato con il maestro Paolo Alfano e poi con Nicolino Rosati. Ho solo tanti ricordi belli”. Ora però Aurelia non ce la fa più. È arrivata qualche difficoltà nel camminare e per lei prendere impegni è troppo gravoso. I Leoncini d’Abruzzo sono un prestigioso circolo musicale, punto di riferimento per i giovani che coltivano la musica in tutto il territorio.
“Già intorno ai 17 anni ho iniziato a capire che avevo problemi nel camminare”, confida mentre con lo sguardo segue ogni spostamento del piccolo Mirko. Ha poco più di un anno ed è vivace, non si ferma un attimo. “Ho girato tanti medici e mi sono sottoposta a tanti esami ma alla fine nessuno capiva cosa avessi”.
Tanti esami, con quella paura degli spazi chiusi. Sono tante le cose con cui Aurelia si ritrova a fare i conti, una è pure la claustrofobia. Poi c’è anche la mancanza di un lavoro e le poche informazioni che riesce a reperire, considerato che è una neo mamma e che è molto limitata negli spostamenti. “Ho chiesto sia al sindaco di Morino, Roberto D’Amico, sia a quello di Pescina, Mirko Zauri. Mi hanno detto che mi aiuteranno, lo spero”.
È stata una studentessa dell’Argoli di Tagliacozzo, il turistico, lì è nata la passione dei viaggi.
Quando le chiedo se ha amicizie che la supportino e che condividano la strada della vita, che per lei ora si è fatta più difficoltosa, risponde: “Ho un’amica speciale, che si chiama Laura. È tosta anche perché viviamo in contesti molto piccoli, dove non c’è condivisione, non c’è comunità per queste cose”.
Durante tutto l’incontro il suo tono non è mai polemico, nemmeno quando le chiedo se secondo lei il ritardo nella diagnosi l’abbia danneggiata in qualche modo. “Io scrivo decine e decine di messaggi e mail al giorno”, va avanti nel racconto, “perché vorrei solo che si investisse nella ricerca. Perché io prendo le medicine che mi tolgono spasmi e dolori. E faccio del mio meglio. Sto facendo delle lezioni in palestra, seguo la fisioterapia, ho cercato anche il sostegno di una psicologa”.
Quando arriviamo a parlare del sostegno psicologico ha un tentennamento ma Aurelia ormai vuole “spogliarsi” di quelle esitazioni che la portano spesso a non avere il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome. “Si chiama Maria Assunta Martellone e il suo supporto è fondamentale. È sempre stata disponibile in tutto e averla è un aiuto importante”.
Aurelia si inibisce solo quando parla di pregiudizi, che purtroppo hanno radici ben salde nelle nostre terre d’Abruzzo. “Ho amiche buone che comunque continuano a chiamarmi e con cui riesco a mantenermi in contatto. Ma con il tempo cambia tutto. E con la malattia e la sua definizione ormai è cambiato tutto”.
Mi mostra poi le immagini scattate in giro per l’Italia, tra un concerto e un altro. “Quando ero piccola andavo in bici”, mi fa vedere una foto di quando era ancora adolescente, felice su una bici a più sedute, “ballavo nella scuola di Luca Villanucci. Ora è vero, è cambiato tutto. Uso una stampella per muovermi ma io vorrei che esistesse una cura e che io potessi curarmi. Mi piacerebbe pensare di avere un altro figlio e di poter continuare a coltivare le mie passioni. Vorrei anche lavorare, perché sono sempre in casa e sarebbe importante anche dal punto di vista psicologico”.

E mentre mi spiega la difficoltà nell’approccio al mondo del lavoro fa trasparire una specie di disagio. Come se chi soffra di una malattia come la sua, che la porta a una disabilità fisica, sia destinato ad avere meno chances rispetto ad altri.
“Ci sono medici che devo ringraziare, in primis il genetista Alvaro Mesoraca, che a Roma alla fine mi diede il nome della malattia una volta per tutte. E il professore Liborio Stuppia, per le sue doti non solo professionali ma anche umane. Io non mi scoraggio ma questa intervista vorrei smuovesse qualcosa perché in Italia c’è bisogno di ricerca. Di sostenerla e supportarla, solo così chi è nelle mie condizioni può continuare a combattere”. E poi conclude: “Sono stata a Lourdes. Quando sei lì e vedi le persone che soffrono così tanto è impossibile arrabbiarsi per qualsiasi cosa. Non ti puoi proprio più arrabbiare per niente e io mi sono sentita meglio dopo quei momenti di condivisione”.
Prima di salutarci rientra in casa il piccolo Mirko, felice di aver riabbracciato il suo papà che è stato lontano per lavoro. Quando mi allontano mi giro e mi fermo a guardare la cascata di Zompo Lo Schioppo. La loro casa dista poche decine di metri da quell’imponente e irrefrenabile forza della natura, che nasce tra i monti per travolgere poi la terra, scorrendo tra i sentieri di una preziosa riserva naturale, custodita come in uno scrigno.
Quella di Aurelia è una forza molto simile ma solo lei ancora non lo sa.