La scorsa settimana, una “scodata” di gelo invernale ha fatto precipitare di colpo le temperature. Diverse regioni italiane che praticano estesamente la viticoltura sono state interessate da un clima anomalo, che ha portato il termometro anche di diversi gradi sotto o zero e per molte ore. Un effetto “killer” tremendo per i germogli di vigneti (e di frutteti in generale) che avrà forti ripercussioni sulla già martoriata (dal Covid) filiera vitivinicola. E dobbiamo sperare che ci si fermi qui, perché ancora non siamo fuori dalla finestra stagionale più rischiosa per le gelate primaverili. Abbiamo chiesto a Romano D’Amario, uno degli agronomi più esperti d’Abruzzo e con cui collaboriamo nel racconto della storia aziendale di Tenuta Secolo IX, di spiegarci cosa sta accadendo.
Allora Romano, le immagini dei fuochi tra le vigne francesi, che disperatamente cercavano di alzare le temperature fra i vigneti, hanno fatto il giro del mondo. Che è successo e qualcuno ci ha pensato anche in Abruzzo?
“Quella delle gelate primaverili non è certo una novità. Ci sono sempre state. Il problema non è tanto il freddo improvviso, ma il clima troppo caldo di febbraio e marzo, che sempre più spesso purtroppo fanno registrare temperature da spiaggia. Abbiamo avuto un marzo con un indice di radiazione altissimo (una misura dell’energia solare che arriva a terra – ndr). Quando accade ciò, la pianta “legge” il terreno che si sta scaldando e, anche se lentamente, riparte con la fase vegetativa“.
In sostanza, sono le tempistiche che non funzionano più: le piante hanno un loro contatore fisiologico interno legato alle condizioni meteorologiche, fioriscono quando percepiscono l’arrivo della primavera. Ora fa caldo prima che in passato e le piante fioriscono prima. Per questo che sono più vulnerabili alle gelate tardive.
Se le gemme sono ben idratate, perché comunque l’inverno si è accumulata una buona quantità di acqua, ecco che durante una gelata l’acqua contenuta all’interno dei tessuti delle piante si solidifica, deidratando le cellule e creando delle lesioni dovute all’aumento di volume (il ghiaccio ne occupa di più dell’acqua liquida). Non servono temperature a -6/-7 °C. Anche a -1/-2 °C per due ore si possono avere danni altissimi.
Ci sono due effetti opposti che si incontrano. Da una parte le colture vinicole si spostano in zone sempre più collinari e di montagna, il che sarebbe un bene, visto che le gelate colpiscono di più le zone basse e le conche dove tende ad accumularsi l’umidità. Inoltre, in climi di montagna, il germogliamento dovrebbe per vie naturali avvenire più tardi e quindi essere meno a rischio di gelate tardive. Però è anche vero che si stanno diffondendo sempre più delle varietà di vite a germogliamento precoce, penso al Pecorino su tutte, che tendono invece ad anticipare questo risveglio.
La finestra più rischiosa è quella di aprile, specie la seconda metà del mese. Se arriva una inversione di temperatura pesante in questo periodo, e nei 30-35 giorni precedenti ha fatto troppo caldo, ecco che c’è ben poco da fare.
Da noi in Abruzzo, purtroppo, soluzioni come quelle francesi non avrebbero senso. Accendere dei fuochi in mezzo ai filari si può fare se hai piccoli appezzamenti da gestire e se il valore medio del vino che ne esce fuori riesce a sostenere economicamente uno sforzo del genere. Va bene in Borgogna, in Champagne o a Bordeaux, per capirci. Pensare di farlo su decine di ettari di un medio produttore abruzzese sarebbe insostenibile.
Nemmeno possiamo applicare a tappeto soluzioni come quelle dei meleti dell’Alto Adige, dove hanno sparato acqua nebulizzata sulle piante in modo da formare un sottile strato di ghiaccio, che ha un effetto isolante e termoregolatore intorno agli zero gradi. Le riserve idriche in Abruzzo non sono così abbondanti e di rischierebbe poi di stare senza acqua nei momenti più critici.
Insomma, c’è ben poco da fare se non sperare che non arrivino altre gelate improvvise. Per adesso una stima precisa dei danni non c’è. Si pensa a un 20-25% di perdita del raccolto, soprattutto su varietà precoci come il pecorino. Il Montepulciano, che germoglia più tardi, pare aver limitato per adesso i danni.