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Fucino e i suoi lavoratori, con il sindacato che entra nei campi e chiede diritti e legalità

Magda Tirabassi di Magda Tirabassi
8 Luglio 2025
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Trasacco. “Vivete in case adeguate? Avete dei contratti di assunzione regolari?”. Ma anche solo: “Come va? State bene?”.

Sono da poco passate le quattro del mattino e agli incroci delle arterie principali del Fucino, si vedono colori insoliti. Ci sono tanti giovani, uomini e donne, con su una t-shirt rossa e distribuiscono cappelli di paglia e altro. Si fermano i primi furgoni, vanno tutti di fretta, è un via vai velocissimo. I datori di lavoro sanno che il loro arrivo in campo è a una determinata ora e nessuno arriva in ritardo.

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Sono i lavoratori del Fucino, quelli che hanno sostituito i nostri padri, i nostri nonni, nel lavoro del campi. Sono quelli che raccolgono di notte, a schiena e testa bassa, finocchi, carote, insalata, patata, nella Piana del Fucino. Di italiani se ne vedono pochissimi nei campi, di giorno come anche di notte. Molti di loro sono autonomi, guidano, organizzano turni, lavorano. I proprietari delle terre e gli imprenditori agricoli si fidano di loro e sanno che sono capaci.

In molti però sono ancora sottopagati. Alcuni vivono nell’ombra, alcuni vivono in baracche. Alcuni spuntano dai canali, a margine dei campi, già intorno alle tre e sono davvero quasi invisibili. Se non fosse per qualche giacca “stile Anas” che con delle bande catarifrangenti, su quelle biciclette “di fortuna” non si nemmeno vedrebbero. Quando li vedo nel cuore della notte, penso: “Magari manco ci pensano che potrebbero morire sotto un’auto o un furgone perché l’autista non li vede.

A Celano qualcuno arriva dal Marocco solo d’estate. E dorme in centro storico, in case dove non ci sono finestre. Forse qualche tenda. A Trasacco sono più integrati: le donne la sera escono, con i bambini. Vanno in piazza, al parco giochi, si fermano nei bar e nei market aperti da connazionali. Se ci si pensa bene, sono loro a creare un indotto economico importante, perché in quei negozi pagano le tasse ai Comuni.

Intorno alle cinque del mattino, da via del Gran Sasso, escono delle donne. Hanno gonne lunghe e zaini in spalla. Vanno a Fucino anche loro. Ripenso a nonna e alle sue mani gonfie mentre lavava le mie nel lavello. “Nonna che mani grandi”. Il suo sorriso: “Io sono andata a Fucino”. Ora le donne italiane non ci sono più a lavorare a Fucino. Quelle rimaste sono imprenditrici e coordinano. E comunque lavorano e fanno lavorare anche loro. Anche loro di notte le trovi negli stabilimenti, davanti agli uffici, a organizzare e fare.

Quelli all’incrocio questa mattina erano sindacalisti e attivisti della Flai Cgil. Circa un anno fa, sempre a Trasacco, ha aperto una sede dell’organizzazione. È un presidio dove si garantiscono diritti, dove si chiede e pretende legalità.

Da questa mattina fino al 12 luglio nella provincia dell’Aquila, dal 15 al 19 luglio a Lecce, dal 21 al 26 luglio a Latina. È partita oggi l’edizione 2025 di “Diritti in campo”, la campagna di sindacato di strada della Flai Cgil dedicata all’incontro, all’ascolto e al supporto delle lavoratrici e dei lavoratori agricoli più a rischio sfruttamento, direttamente nei luoghi dove sono impegnati ogni giorno.

Ogni mattina i pulmini della Flai si metteranno in moto prima dell’alba e porteranno le Brigate del lavoro, composte da sindacalisti e attivisti, nei campi e nelle aziende agricole, per presidiare le campagne, intercettare e far emergere lavoro nero e grigio, costruire legalità.

Con loro, tra gli altri, c’è un mediatore culturale. Si chiama Hafdi Hamid ed è in Italia dal 1987. Mi dice: “Non vogliamo si parli solo delle cose brutte. Noi vogliamo essere vicino ai lavoratori del campi, come a tutti i lavoratori”. Mi mostra delle brochure. Ogni frase è scritta anche in arabo.

Dopo qualche chilometro incontro Tarek. “Gli chiedo: lo hai il contratto?”. “Ma sì, certo”. È a presidio di un campo dove si sta per irrigare. “Abbiamo problemi, tira troppo vento. Mi racconta che il titolare dell’azienda agricola si fida di lui, lavora con lui da tanto tempo”.

Con lui rifletto sulla scarsa sicurezza delle strade nella notte su tutto il Fucino. Lui guida una jeep ma ancora in troppi si muovono con mezzi precari, bici al limite della decenza. Mi racconta di come arrivano in queste notti, intorno a le tre, gli autotrasportatori della Campania. “Affittano delle squadre, con i fari dei trattori raccolgono, riempiono bancali e ripartono. Alle nove, massimo le dieci, i nostri ortaggi sono già al mercato lì”.

Rifletto sul fatto che Fucino è ricchezza ma noi non tuteliamo abbastanza chi quella ricchezza ce la sta propinando, con pochi e semplici mezzi ma con tanto, immenso, sacrificio. Tarek mentre parliamo a un certo punto brevemente e sorridendo mi dice: “Anche voi tempo fa facevate quello che abbiamo fatto noi”. Gli rispondo: “Sì, è vero, mio zio emigrò in Australia. Mia zia mi raccontava che per un mese dormì al porto, a terra. Prima di arrivare ai campi di tabacco. Lì diventò uno dei coltivatori più importanti. Acquistò tantissime terre, le sue immagini rimbalzavano da un giornale locale a uno nazionale di continuo.

Oggi noi i marocchini usiamo invece insultarli sui social, quando si legge che ci sono tra loro spacciatori o quando qualcuno di loro compie reati. nessuno dice però che la cocaina che alcuni spacciano sono gli italiani a tirarla su con il naso.

Tarek mi racconta pure di quando lavorava a Napoli. “È vero, lavorano quasi sempre in nero. Però la sera ci sedevamo a tavola tutti insieme e mangiavamo come in una grande famiglia. La cena ce la preparavano le loro mogli e stavamo tutti insieme. Era bello pure là”.

“Il nostro impegno col sindacato di strada sul territorio è quotidiano e non si ferma mai”, dichiara il segretario generale della Flai Cgil Giovanni Mininni, “come ogni anno, però, abbiamo deciso di promuovere a livello nazionale le attività delle Brigate del lavoro in alcune zone particolari del Paese, là dove illegalità e caporalato sono ancora troppo diffusi ed espongono i lavoratori e le lavoratrici a vessazioni e condizioni di vita e di impiego inaccettabili. ‘Diritti in campo’ rappresenta un pezzo essenziale della nostra azione sindacale e una risposta concreta alla sete di giustizia sociale nelle campagne italiane”.

 

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Terminate queste prime tre settimane, la campagna “Diritti in campo” proseguirà con nuove tappe a settembre.

Io intanto continuo a pensare che in una società civile i lavoratori nei campi li dovrebbero accompagnare con delle navette pagate con i soldi pubblici.

Penso anche che Fucino è la nostra terra, che regala albe e tramonti che non dimenticherò mai nella vita, ovunque andrò. E che pensare che esista ancora un sindacato che scende in strada per i diritti qualche speranza in un futuro migliore mi fa stare meglio.

Tags: News

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