Avezzano. Il 23 novembre, in via Pertini ad Avezzano, è stata inaugurato “Fragmenta Lacus – Frammenti di Lago”, monumento dedicato al Lago del Fucino e alle vittime della strada, realizzato dall’architetto Alberto Cicerone. L’iniziativa, promossa dal Rotary Club di Avezzano, rappresenta un simbolo di memoria e riflessione. L’opera, nata da un progetto donato dallo stesso Cicerone al Rotary, è stata resa possibile grazie al contributo di alcuni sponsor e al lavoro del past president Antonio Manna, che aveva avviato il progetto durante il suo anno di presidenza rotariana.
Alla cerimonia del taglio del nastro hanno partecipato il past governatore del Rotary Gesualdo Angelico, Sua Eccellenza Monsignor Giovanni Massaro, il presidente in carica del Rotary Club di Avezzano Jacopo Angelini, il sindaco di Avezzano Giovanni Di Pangrazio, il sindaco di Capistrello Maurizio Murzilli, l’architetto Alberto Cicerone, il past president Antonio Manna ei signori Giancarli, genitori di Alessandro Giancarli, scomparso qualche anno fa in un incidente nelle strade del Fucino, in quanto l’opera è dedicata anche alle vittime della strada. L’opera è un monumento al passato, una speranza per il futuro e una luce accesa nella memoria e nel ricordo eterno.
Il lago del Fucino vive ancora. Al centro di questa rotonda, là dove un tempo si estendevano le acque, emerge Fragmenta Lacus che vuole essere figura visibile di ciò che è sedimentato nel profondo di questo territorio.
Non è un monumento al passato, il lago ci viene presentato in quello che l’artista sente essere il suo stato attuale: un lago relegato che sembra essere solamente occultato e mai scomparso. Proprio in questa condizione latente ne esalta la presenza. Se prima erano le terre a esser sommerse, l’artista ribalta questa prospettiva e immagina un lago concettualmente tumulato sotto queste rocce scure, ma che permane ancora al di sotto della superficie, al di là del visibile. Anche se ora le acque defluiscono nel Liri, l’essenza del Fucino è ancora percepibile. Questi frammenti di vetro che si fanno acqua imbrigliata in reti metalliche mostrano un’entità trattenuta ma non estirpata. Questo territorio è naturalmente incline ad accogliere un lago, sono gli uomini che scelsero di lasciar spazio ai campi e che all’acqua preferirono la terra.
In questo contrasto tra concretezza ed evanescenza dei materiali, l’opera ci invita a meditare sul confine tra ciò che è attuale e ciò che resta potenziale, evocando la tendenza del lago a risorgere nella sua forma antica. Così accadde tra i tempi dei Romani e dei Torlonia, quando, abbandonato alla natura, tornò a distendersi sulla pianura. Qui sta il senso di quel germoglio di lago sulla sommità dell’istallazione: la tendenza naturale al risorgere, l’impulso vitale. Questo slancio, tuttavia, non si disperde liberamente, ma viene incanalato dall’uomo nei flussi che, sotto il suo controllo, attraversano la pianura, portando l’eco dell’antico lago in ogni angolo coltivato. Con il desiderio di migliorare e la capacità di trasformare, l’uomo ha rimodellato questo paesaggio creando un equilibrio tra la propria volontà e le forze della natura. Si tratta di un’alleanza pacifica che nasce da un processo di sottile sintonia con l’ambiente. L’uomo, collaborando con la natura, è riuscito a canalizzare le sue energie in modo efficace, rispettandola si è integrato nelle sue dinamiche per costruire un legame armonioso e fecondo.
Con Fragmenta Lacus, l’artista richiama la consapevolezza baconiana, secondo cui “alla natura si comanda solo ubbidendole”: in questo territorio l’uomo non si è rassegnato ad essere soggetto passivo della natura, ma ha deciso di comprenderla in modo profondo per orientarla con intelligenza verso un ideale di crescita. Questo, allora, simboleggia la rete metallica: il comandare volto a un miglioramento ricercato attraverso l’ordine e il controllo. Sono vincoli che non limitano bensì moltiplicano, è un dominare che ha per obiettivo l’esaltare, un legare che innalza. Ma bisogna avere coscienza della cura e della sensibilità che un rapporto di questo tipo richiede. La scelta dei vetri che nella loro fragilità sono sapientemente tenuti insieme dalla tenacità del ferro rende il senso di un equilibrio che deve saper essere contemporaneamente delicato e saldo. Le disposizioni naturali di questo territorio sono state rispettate e assecondate, seguendo il percorso dettato dalla conformazione geografica per raggiungere l’obiettivo. La posizione dell’incile e l’inclinazione dei canali sono scelte accurate che hanno consentito questa convivenza pacifica.
La bonifica, con tutte le sue fatiche, ha schiuso alla luce questa terra spogliata dalle acque, ancora memore dei suoi secoli di fondale, che ci dona una fertilità di cui l’uomo si fa custode. Questa lezione di rapporto fruttuoso con la natura, che è anche compito e sfida della nostra epoca, rimane il tesoro della trasformazione di questi territori. Se la sintesi estetica austera dell’installazione richiama la suggestione del monolite kubrickiano, simbolo di un cambiamento istantaneo di paradigma, è per auspicare l’avvento di questa nuova era. L’uomo non solo deve vivere in simbiosi con la natura ma ne deve diventare parte integrante, immerso nel suo ecosistema.
L’acqua è simboleggiata in frammenti di vetro proprio per rendere visibile una fissità artificiale, quasi cristallizzata, che fa percepire i vincoli imposti dall’uomo. Ma la natura conserva in sé il potenziale di fluire oltre ogni limite che cerchi di contenerla, di aggirare qualunque giogo che non abbia i cardini nell’armonia. In questo territorio si è creato un rapporto pacifico che non le ha dato motivo di ribellione ma ha avuto rispetto del suo spirito. L’installazione mette in scena questa oscillazione tra contenimento e libertà: di giorno la rete impone il senso di una costrizione tangibile, mentre di notte, quando la luce si irradia dal nucleo dell’opera, l’intelaiatura e il tumulo si integrano alla vista. Questo respiro amplifica l’idea che l’uomo non può modificare i princìpi insiti nella natura, li può solo convogliare, le essenze sono immutabili.
Infatti, gli abitanti del luogo sanno che questa presenza, a volte, torna anche manifesta: così chi suole elevarsi sulle alture marsicane lo può rincontrare con sembianze rarefatte quando, in giornate umide, il Fucino si veste di nuvola e come spettro aleggia nel suo bacino. A chi trapassa il velo di nebbia e si apre alla luce il lago riappare: l’invito finale dell’opera rimane quello di soffermarci su ciò che si cela oltre la superficie, di entrare nella prospettiva in cui ciò che è invisibile diventa percepibile.