Avezzano. Sono stati assolti, grazie alla prescrizione dei reati, dall’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata. In sette dovevano rispondere di reati ai danni dell’Inps di Avezzano per aver ottenuto erogazione di soldi pubblici simulando dei finti rapporti di lavoro gestiti da società di comodo poi cessati.
Si tratta di Attilio Di Stefano, Carlo Di Salvatore, Giancarlo Mai, Ulisse Di Biase, Domenico Di Renzo, Anna Maria Cerone, Angelita Cerone. Secondo l’accusa, i raggiri erano stati messi in atto presentando documentazione a sostegno di licenziamenti simulati, di modo da ottenere le indennità di assistenza o di malattia. In altri casi riuscendo a ottenere le indennità facendo false dichiarazioni create che inducevano l’Inps a erogare il denaro. L’indagine mosse i primi passi già nel 2005, quando gli uomini delle Fiamme gialle iniziarono a indagare su una delle aziende coinvolte nella vicenda. Subito dopo l’inchiesta si allargò e finirono nel mirino degli investigatori diversi imprenditori. Al termine delle indagini preliminari, la procura della Repubblica di Avezzano, nel 2010, chiese e ottenne il rinvio a giudizio per tutti. I tempi della giustizia hanno permesso di arrivare solo ora a conclusione del processo, quasi 14 anni dopo l’avvio dell’indagine di polizia giudiziaria delle fiamme gialle.
Secondo l’accusa, gli imputati, in associazione tra loro, si sarebbero appropriati indebitamente di erogazioni statali di sostegno al reddito dei lavoratori emesse dalla sede avezzanese dell’Istituto di previdenza sociale. I soldi, secondo la Procura di Avezzano, erano stati emessi sotto forma di prestazioni di disoccupazione e di malattia. I lavoratori erano prevalentemente impiegati nel settore edile, ma c’erano anche mansioni di altro genere. Tutto ciò avveniva, secondo quanto era emerso dalle indagini della compagnia della Guardia di Finanza di Avezzano, con la simulazione di fittizi rapporti di lavoro avviati e poi interrotti all’occorrenza tra “società di comodo” di fatto non operative. Il meccanismo, inoltre, sarebbe andato avanti per diverso tempo. Nell’inchiesta era finita anche una società amministrata dal grande campione di ciclismo avezzanese, Vito Taccone, morto all’età di 67 anni dopo l’apertura dell’inchiesta. L’icona dello sport avezzanese aveva sempre sostenuto a gran voce la sua estraneità alle accuse e la sua totale innocenza., fino all’ultimo giorno. All’Inps, secondo quanto emerso dalle indagini, venivano presentati certificati medici di malattia subito dopo il simulato licenziamento, in modo da far gravare l’onere dell’indennità di malattia direttamente sull’Istituto previdenziale e quindi sullo Stato. Del collegio difensivo facevano parte gli avvocati Antonio Milo, Emilio Amiconi, Domenico Quadrato, Gabriella Frasca e Fracassi.