Tagliacozzo. Il sassofonista marchigiano alla testa dell’Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, sarà ospite venerdì 8 agosto, nell’incantevole cornice del Chiostro di San Francesco, alle ore 21,15, della LXI edizione del Festival di Mezza Estate, firmata da Jacopo Sipari di Pescasseroli. In programma, musiche di Leonard Bernstein, Ennio Morricone e Nino Rota
Procede con buon concorso di pubblico la XLI edizione del Festival Internazionale di Mezza Estate, in pieno svolgimento in Tagliacozzo, che venerdì 8 agosto giunge al suo ottavo appuntamento che punta i riflettori su di uno strumento che meglio ha interpretato il secolo breve: il Sassofono. Sarà Federico Mondelci alla testa dell’ Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese del neo-Presidente Alberto Mazzocco a presentare al pubblico del Festival questo eclettico strumento.
Il F.I.M.E. è un festival composito, costruito in tanti anni, che oggi continuare a godere delle ragioni estetiche dettate dalla direzione artistica e generale di Jacopo Sipari e Luca Ciccimarra, nonché dal Sindaco Vincenzo Giovagnorio e dalla sua delegata alla cultura Alessandra Ricci, grazie alle istituzioni, in primis il Ministero della cultura, la Regione Abruzzo, il Comune di Tagliacozzo, e la sinergia con istituzioni quali la Sinfonica Abruzzese, resident orchestra e l’ Accademia musicale di Alto perfezionamento vocale “Daltrocanto” diretta da Donata D’Annunzio Lombardi e allo storico sostegno della Banca del Fucino. La serata principierà alle ore 18 nel Cortile d’arme del Palazzo ducale con la presentazione di due libri, “La Pazza di Tagliacozzo” di Alessandro Cuccuru, un lavoro che ripercorre gli eventi che condussero all’epico scontro, narrando passo dopo passo la spedizione di Corradino di Svevia da un originale punto di vista femminile. È infatti una donna, che vive da diciassette anni in solitudine su un monte sopra l’altopiano dove gli eserciti si fronteggiarono, a raccontare la storia a un giovanissimo Cino da Pistoia, salito lassù a cercarla per conto dell’amico Dante Alighieri. Zaube nel 1268 era solo una ragazza, finita quasi per caso al seguito del legittimo pretendente al Regno di Sicilia.
I suoi ricordi risultano però ancora ben nitidi e ridanno vita a una straordinaria galleria di personaggi storicamente esistiti, i quali – per via delle loro caratteristiche e delle loro spesso imprevedibili azioni – risultano gli attori ideali da mettere in scena, senza bisogno di forzar troppo la mano alla fantasia.
Si passerà, quindi, a “Il valore sociale dei festival. La creatività comunicativa” di Barbara Maussier, in libreria per Franco Angeli editore. Il volume indaga sulle caratteristiche e sulle opportunità offerte dai festival per lo sviluppo dei territori che li ospitano. Grazie alle nuove modalità di partecipazione, sia in presenza che online, sono diventati una delle attività di svago più popolari, agendo come strumenti di socializzazione e momenti di condivisione di esperienze, valori e stili di vita.
Alle 21,15 ci si sposterà nel vicino chiostro di San Francesco, ove ci attendono Federico Mondelci e l’Orchestra dell’ISA. Il Maestro Mondelci si farà in tre poiché dirigerà e suonerà il sax alto e soprano “Per me è un debutto assoluto in questo prestigioso Festival – ha dichiarato Federico Mondelci – un onore suonare e dirigere l’Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, per il quale si è pensato ad un concerto spettacolare sia per il programma, vista la bellezza dei brani in repertorio, individuati tra le musiche del Novecento destinate al cinematografo e al musical. Musiche da Oscar di grande comunicativa ed un omaggio anche al West Side Story che abbiamo visto in sala divenuto film, nonché alle immagini e al genio di questi film che sono nel sentire di noi tutti, insieme alle loro insuperabili note”.
Il programma, interamente arrangiato da Roberto Granato principierà con una intensa suite da West Side Story. Generalmente Leonard Bernstein non è considerato un compositore di musica sinfonica, nonostante la sua produzione includa tre sinfonie, vari lavori per strumento solo e orchestra e un certo numero di suite tratte da opere teatrali.
È, però, proprio nel genere sinfonico che Bernstein è riuscito compiutamente a coniugare la tradizione classica europea e quella americana del jazz e del musical. Le danze sinfoniche e i diversi numeri che apriranno il programma, derivati da West Side Story sono un esempio di conciliazione di questi due mondi, che lega il compositore a filo doppio con George Gershwin.West Side Story debuttò al Winter Gardens Theater di Broadway il 26 settembre del 1957, aprendo una tournée attraverso gli Stati Uniti che raggiunse in breve tempo le 1025 repliche.
Lo straordinario successo, convinse Bernstein a trarne una serie di pezzi per orchestra, che Bernstein dedicò a Sid Ramin, il quale con Irwin Kostal realizzò l’orchestrazione sotto la supervisione del compositore. Le danze sinfoniche presentano, non in ordine cronologico, una selezione di alcuni numeri del musical.
Il Prologue dipinge gli scontri tra le due gang: gli Sharks, immigranti di Puerto Rico, e i Jets, originari del Bronx. Somewhere richiama il desiderio dei due amanti, Maria e Tony, di un futuro di pacifica coesistenza. Lo Scherzo in stile Copland conduce all’ardente Mambo durante il quale Maria e Tony si incontrano per la prima volta. Nel Cha-Cha i giovani amanti si frequentano e nella Meeting Scene si rendono conto della reciproca attrazione.
Nella Cool Fugue sono di nuovo protagoniste le gang. La tensione tra le due parti esplode nel Rumble, durante il quale i capibanda muoiono. Il Finale, cita la canzone di Maria I have a Love che allude all’imminente tragica fine. Una breve reminiscenza di Somewhere chiude le danze sinfoniche con un interrogativo aperto.
L’orchestra sinfonica abruzzese donerà un medley di musiche di Ennio Morricone, improntate alla grande melodia Gli Intoccabili, Nuovo Cinema Paradiso, Marco Polo e la Leggenda del Pianista sull’Oceano. Morricone qui volta le spalle alle convenzioni hollywoodiane per il western e alla loro enfatizzazione dei profili melodici e dei caratteri armonici propri delle canzoni tradizionali e dell’inedia, e, così, ha definito un nuovo modello di riferimento per la colonna sonora di questo genere.
La melodia qui rimane e questo “rimanere” è sempre la spia di un compositore che scava nel profondo, e deposita nei nostri ricordi note, accordi ed effetti che resistono al tempo, con l’ampiezza della sua linea melodica, il colore delle armonie e uno sviluppo che può richiamare alla memoria certa produzione romantica del secondo Ottocento. Tanti gli insegnamenti ricevuti dall’ Ennio compositore: due su tutti: “La musica è esclusiva passione” e “se nella partitura vedi una vigna non è bene”, per sottolineare che la musica deve essere semplice e deve respirare, lasciando trasparire ogni nota”.
Finale interamente dedicato a Nino Rota e alle tante partiture felliniane. Da quando il cinema è divenuto sonoro, dal 1927, la questione dei rapporti, o meglio delle interrelazioni con la musica, sia come “supporto” delle immagini, sia come elemento di congiunzione semantica delle immagini stesse, montate tra di loro secondo determinati percorsi drammaturgici e narrativi, ha costituito uno dei temi ricorrenti della produzione e della realizzazione dei film, e più ancora della loro fruizione da parte del pubblico, soprattutto sul piano pratico, ma anche, a volte su quello teorico. Nino Rota è uno dei massimi rappresentanti e tra i più amati compositori per musica da film, tanto che nel 1999 Mario Monicelli gli ha reso omaggio con un documentario, “L’amico magico: il maestro Nino Rota”.
La sua produzione pianistica, cameristica, sinfonica si fece apprezzare per il delicato fluire musicale, talvolta ingiustamente scambiato per semplicismo, lontano da ogni vezzo avanguardistico, ma nemmeno inconsapevole della lezione novecentesca di Igor Stravinskij, Erik Satie e Kurt Weill. Nino Rota trasferì queste stesse ragioni estetiche nel cinema con una prolificità sorprendente (compose oltre centocinquanta colonne sonore) e risultati mai corrivi, bensì, al contrario, sospesi in un’aerea grazia, che divenne l’ inconfondibile cifra rotiana.
Nino Rota attua per portare alla coscienza i radicamenti più residui sia di una storia personale, di una profonda intimità di rapporti anche fisici con la musica connaturatamene esperita: si pensi a quanti suoi anche celeberrimi pezzi, conclamati exploits di spegnimento di memorie nell’amarcord più straziante, sono, anche abbastanza evidentemente, delle memorie, simboliche ma anche materiali, nostalgiche ma anche nauseate, di strutture infinitamente reiterate di studi, studi ed esercizi elementari, facili medi, trascendentali, che di una storia collettiva, inconclusa e facile alle ricadute e alle rigermogliazioni.
La musica , è pura espressione dell’estetica di Nino Rota, ancorata ad una concezione espressiva immediata, ingenua e spontanea, che può senz’altro prescindere da proposizioni teoriche e da forzate concettualizzazioni, fedele al primato della melodia e basato su di una tonalità del tutto priva di complicazioni armoniche e su ritmi e forme simmetriche e immediatamente percepibili, che condurrà l’uditorio in un libero giuoco di associazioni, spaziante tra i diversi generi musicali, dalla canzone, al musical, all’aria, al puro sinfonismo. In apertura Amarcord che declina uno dei temi più popolari del maestro in modalità multiple: l’impianto cantilenante della melodia è scomposto all’infinito, trovando anche una parentesi in cui si trasforma in drammatica perorazione rinchiusa tra un’esposizione fanciullesca e pacata e una coda.
Si passerà per il film La strada e il tema scorato di Gelsomina, il Padrino, la Dolce Vita. Quindi, Visconti, e il valzerino del Gattopardo dove Rota seppe ripercorrere con una preziosità quel capolavoro con sottigliezza ironica. Chiusura con il girotondo di Otto e mezzo per rendersene conto, col suo inizio trasognato nel quale il celebre tema del girotondo finale fatica a farsi timidamente largo fra tintinnare di carillons e un’enunciazione frammentata, quasi balbettata; questo prima che l’orchestrazione si ampli a proporzioni inattese, chiamando nella ripresa archi e ottoni sul rullo dei timpani, ad una esposizione quasi epica con Federico Mondelci che avrà modo di mettere in evidenza la propria lievissima, imprendibile e stratosferica agilità.
Prossimo appuntamento: Quando la parola si fa contenitore di suoni sale in cattedra Giancarlo Giannini, atteso nel Chiostro il 9 agosto, alle ore 21,15 per un racconto in musica, in duo con la fisarmonica di Davide Cavuti in Io, il cinema e D’Annunzio. Giancarlo Giannini e Davide Cavuti porteranno in scena il recital teatral-musicale “Io, il Cinema e la Poesia”. Lo spettacolo è curato dal maestro Davide Cavuti ed è un omaggio alla straordinaria carriera di Giancarlo Giannini: attraverso aneddoti, storie e poesie, Giannini dialogherà con il pubblico e racconterà del suo rapporto con alcuni dei più grandi registi del suo tempo e del suo legame con l’Abruzzo, con il rapporto professionale con il regista Anton Giulio Majano negli sceneggiati «David Copperfield» (1966) e «…E le stelle stanno a guardare» (1971), svelando alcune curiosità del suo percorso artistico che lo ha visto protagonista in film straordinari come “Pasqualino settebellezze” fino alle pellicole della saga internazionale di “007”.
Accanto allo straordinario attore, ci sarà il compositore e regista Davide Cavuti, che ha curato il recital e si esibirà alla fisarmonica con il suo ensemble composto per l’occasione da Antonio Scolletta (violino), Franco Finucci (chitarra), Martin Diaz (chitarra e voce), Candida Libera D’Aurelio (voce cantante). Lo spettacolo è prodotto da “MuTeArt produzioni”. Non mancheranno momenti legati alla poesia, in cui Giancarlo Giannini interpreterà alcune delle liriche di Gabriele d’Annunzio e di altri grandi autori del passato. Nel corso della carriera si è aggiudicato nel 1973 il “Prix d’interprétation masculine” al “Festival di Cannes” per “Film d’amore e d’anarchia” e nel 1977 la candidatura all’Oscar al miglior attore per la sua interpretazione in “Pasqualino Settebellezze”, entrambi film diretti da Lina Wertmüller. Ha inoltre vinto sei David di Donatello, sei Nastri d’argento e cinque Globi d’oro. È anche noto per aver interpretato René Mathis nei due film della saga di James Bond “Casino Royale” e “Quantum of Solace”. Come doppiatore, ha prestato la voce a Al Pacino in buona parte della sua filmografia e Jack Nicholson in alcune delle sue interpretazioni più importanti. Il 6 marzo 2023 ha ricevuto una stella sulla “Hollywood Walk” of Fame a Los Angeles.