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Federico Buffa si racconta: lo sport, il teatro e le Olimpiadi del ’36

Redazione Attualità di Redazione Attualità
8 Novembre 2016
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Avezzano. Se mai esistesse un giornalista alfa, di sicuro, sarebbe Federico Buffa. Conosciuto principalmente per le telecronache di basket su Sky, ha saputo reinventarsi attore di teatro con lo spettacolo “L’ultima estate di Berlino”. Nell’estate del 1936 il secondo conflitto mondiale è alle porte, ma gli occhi di tutti il mondo sono puntati sulla Germania, cornice di giochi destinati a essere immortalati per sempre nel film Olympia, diretto da Leni Riefenstahl, regista e attrice tedesca. Considerato come il miglior narratore in attività e tra i più quotati giornalisti sportivi in Italia, Federico Buffa è salito sul palcoscenico della Sala Umberto a Roma. Al termine dello spettacolo abbiamo avuto modo di intervistarlo.

In una celebre intervista ha dichiarato di essere attratto da ciò che non è in grado di fare. Lei è un personaggio eclettico, pronto a cimentarsi in nuove sfide e desideroso di conoscere e scoprire nuovi mondi e culture. Il teatro è il posto in cui ognuno può essere chi vuole, senza barriere o limiti. Crede essere questa la dimensione che più rispecchia la sua personalità?
Speriamo. Me lo auguro sul serio. Se cosi fosse, ti vengo a cercare – ride. Hai centrato esattamente il punto, bravissimo. E’ il teatro la buffa_federicocosa più difficile, proprio perché la più impegnativa. Richiede una dose di preparazione non indifferente. Molta concentrazione e grande competenza, tale da rendere ogni serata memorabile. Sono veramente contento di come sta andando fino ad ora. Era esattamente quello che desideravo. Che dire, spero vivamente che tu abbia ragione.
Ciò che la caratterizza principalmente è il trasporto con il quale parla e affascina chi si trova a ascoltarla. Ma quanto è difficile raccontare una suggestione o un’emozione? Quale è il principale ostacolo nel descrivere, quindi narrare, episodi, emozioni, immagini? E’ forse questa la più grande sfida del Buffa narratore di teatro?
Mmm, dipende. Penso che poter raccontare qualcosa che ti piace, che ami, sia un privilegio enorme. In questo spettacolo la parte teatrale è stata scritta da Emilio Russo, uno dei due registi, mentre io, invece, ho scritto in compagnia di alcuni amici, la parte narrata. C’è una singola situazione, in un momento preciso dello spettacolo, in cui ho messo dentro le storie che volevo. A quel punto, beh, è quasi inevitabile innamorarsi di queste vicende. E’ realmente quello che volevo portare alla luce e, quindi, raccontare. I personaggi incredibili contenuti in esse. In particolare quella del coreano Son Kee-chung, figura incredibile. E’ una storia pazzesca. I coreani tutt’ora, anche in quest’ultima Olimpiade, hanno provato a farsi ridare indietro questa medaglia che effettivamente è loro. La meritano. Ma il CIO, sfortunatamente, non vuole dargliela. Credo che dietro l’enorme competenza e straordinaria qualità di narratore, il vero punto di forza di Federico Buffa è la passione che riversa in ogni cosa che fa. Il voler andare sempre oltre. Mi viene in mente quando raccontò la vita di Platini con lui presente ad ascoltarla. Al termine di quell’intervento, “Le Roi”, stupefatto e compiaciuto, dichiarò: “adesso ne so molto di più sulla mia vita”. Delle cose che ho fatto in televisione questa è stata, indubbiamente, la più difficile. Perché? Perché ero in diretta davanti a lui che era molto scettico. Continuava a chiedersi cosa c’entrasse Sky, dato che pensava di trovarsi a lavorare con qualcun altro. Alla fine, però, era lui che, a distanza di due metri, mi guardava affascinato. Posso assicurarti che quello fu un bell’ottomila “hymalaiano”. E’ stato molto gentile, mi ha fatto veramente piacere, non posso negarlo.
“L’ultima estate di Berlino” è anche un bellissimo libro scritto in compagnia di Paolo Frusca. Le ha dato più soddisfazioni scrivere il libro o portare in scena lo spettacolo?
Sono due cose diverse e quindi è difficile fare paragoni che non risultino essere azzardati. Paolo è stato decisivo nella stesura di questo lavoro. E’ grazie alla sua cultura in lettere europee se il libro ha ottenuto un discreto successo. Io ho dato un altro tipo di contributo. Ho inserito diversi contenuti di volta in volta, raccontando ciò che amavo e costruendo attorno a esso delle vicende realmente accadute. Ma Paolo è stato veramente bravo. Inoltre, ha vinto un premio. Non ci credo neanche.

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Al giorno d’oggi, facendo un rapido bilancio e considerando che è il secondo anno che porta in scena lo spettacolo, le soddisfazioni maggiori le ha ottenute dal libro o dal teatro?                                                                                                             Dallo spettacolo, indubbiamente. Il pubblico cosi giovane che si fa raccontare una storia di ottanta anni fa è incredibilmente soddisfacente. Nella percezione dei ragazzi gli ottanta anni di oggi non sono quelli di una volta, sono quasi millenni. E’ tutto moltiplicato, ultraveloce, a volte addirittura impercettibile. Provare a chiedere loro di prestare attenzione e, eventualmente, ma questo non posso chiederlo, posso solo sperarlo, di volere approfondire qualcosa che la scuola italiana difficilmente gli ha fornito, beh, allora è un grande risultato. A costo di ripetermi, ma questo lo considero un privilegio.

Perché ha deciso di raccontare le Olimpiadi del ‘36?
Il motivo per cui raccontiamo le Olimpiadi del ’36 è perché la spettacolarizzazione dello sport, il doping di Stato, l’uso politico dello sport, nascono nel 1936. Oggi si sorride al fatto che Roma non possa organizzare un’Olimpiade, ma i tedeschi, quell’anno lì, ne organizzarono due. L’invernale a Garmisch, l’estiva a Berlino. Questo per dire a che livello organizzativo erano, una roba pazzesca. Ah, ottanta anni fa, ragazzi! Senza la tecnologia e le conoscenze di adesso. Perfino al giorno d’oggi sono attuali alcune dinamiche e alcuni aspetti dell’organizzazione. Anche visivi. Hanno indubbiamente segnato un punto di rottura con il passato. Da quel momento in avanti, le Olimpiadi hanno assunto una veste totalmente differente. Impossibile non restare affascinati davanti a personaggi come Jesse Owens che, per tutte una serie di eventi e di improbabilità storiche, culturali, sociali, lo considero tra i più grandi sportivi di tutti i tempi. Non ha mai realmente ottenuto tutta la gloria che meritava. E questo per dinamiche esterne allo sport. Si, quelle Olimpiadi hanno su di me un fascino particolare.

E’ stato un piacere enorme poterla intervistare. Un vero privilegio.
Il piacere è stato mio, grazie della bella chiacchierata e delle belle domande. E, grazie per essere venuto allo spettacolo, spero ti sia piaciuto.

Federico Falcone

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