Roma. Dopo i numerosi articoli usciti questi giorni sulla stampa, che parlano della lite dei figli del Principe per l’eredità di famiglia (articolo qui) è importante capire a cosa si fa riferimento quando si parla della “Collezione Torlonia”.
Tra statue, busti, ritratti, sarcofagi, rilievi ed elementi decorativi, la collezione vanta una sfilza infinita di opere del Perugino, Guercino, Caravaggio, Tintoretto, ma soprattutto la preziosa e colossale Hestia Giustiniani, una serie di un centinaio di ritratti in marmo, per la maggior parte imperiali, considerata dagli studiosi più importante di quelle dei musei capitolini e vaticani. L’intera collezione, che da oltre quarant’anni è custodita negli scantinati di palazzo Torlonia alla Lungara, all’epoca venne stimata in circa 300 miliardi di lire, ma oggi vale almeno due miliardi di euro, e può essere comparata per valore alla più celebre collezione dei musei vaticani.
Winckelmann, il famoso bibliotecario e storico dell’arte tedesco, disse che “dopo la basilica di San Pietro, il museo di Villa Torlonia sorpassa tutto ciò che è stato fatto nei tempi moderni”. Nel 1841 l’architetto Francesco Gasparoni intitolò una delle sue prose sulle belle arti “A Torlonia le Arti riconoscenti” alle quali fece seguire una personale considerazione “Verrà però tempo, né forse è lontano il giorno, in cui si leverà degnamente qualcuno, il quale d’ogni cosa ragionando, farà vedere che niuno in Italia commise oggi agli artefici opere in maggior copia dell’Eccellentissima Casa Torlonia, e che a niuno, meglio che a lei, debbono le arti esser tenute”.
Ma come ha fatto la famiglia Torlonia a collezionare tutti questi tesori? Molte opere sono frutto degli scavi effettuati nelle loro immense proprietà, come quelle di Canino e di Vulci o delle antiche ville romane acquistate dalla famiglia, come la Villa dei Quintili sull’Appia Antica, la più grande villa del suburbio romano, conosciuta come “statuario” per la ricchezza delle opere d’arte. Tante opere vennero ritrovate anche sul fondo del lago Fucino, ma è attraverso il prestito di denaro che i Torlonia misero insieme i migliori pezzi di questa incredibile collezione.
Per scrollarsi di dosso l’etichetta di parvenu, ovvero di persone che si erano arricchite rapidamente e che, pur cercando di ritagliarsi rapidamente una certa posizione sociale, conservava almeno in parte i modi e la mentalità della condizione sociale precedente, i Torlonia iniziarono a collezionare opere d’arte di ogni genere e per portare avanti queste attività si servirono di mezzi a loro congeniali: prestavano soldi, ma come pegno pretendevano i capolavori dei nobili romani che si rivolgevano al loro banco. Fu così che molte di queste opere, provenienti dalle collezioni delle grandi famiglie romane – i Caetani-Ruspoli, i Carpi, i Cesarini, i Giustiniani – finirono nella magnifica e celata collezione Torlonia, nelle 77 stanze del palazzo di via della Longara.
Ma cosa si nasconde in questa collezione? L’unico catalogo esistente della collezione è quello Visconti, che risale al 1884 ed è conservato all’Ashmolean library di Oxford. Come è scritto sulla copertina il catalogo elenca le opere di “quell’ immenso tesoro d’erudizione e d’arte che non avrà mai forse nell’avvenire altra collezione che la pareggi”.
Una parte della collezione Torlonia, quella relativa ai tesori trovati sul fondo del lago prosciugato da Alessandro Torlonia, oggi è esposta al castello di Celano, dopo un tira e molla tra la nobile famiglia romana e la soprintendenza, che negli anni ottanta la ricomprò dal Principe a suon di centinaia di milioni di lire.
L’ultimo a tentare una mediazione tra la famiglia Torlonia e lo stato fu Silvio Berlusconi, che all’epoca dei fatti era presidente del consiglio e che offrì ai Torlonia l’incredibile cifra di 125 milioni di euro per l’inestimabile collezione d’arte. Ma il Principe declinò l’offerta anche allora. Chissà se oggi, con l’apertura della diatriba legale per dividere l’eredità tra i vari figli, la celebre collezione d’arte rimarrà in Italia oppure finirà, come già successo per numerosi reperti italiani, ad ingrossare le fila dei tanti musei che oggi espongono i nostri capolavori, una su tutti: la Gioconda. Francesco Proia (autore del romanzo “Il Principe del Lago”)