Avezzano. Il Principe Torlonia durante i lavori per il prosciugamento del Fucino conservò l’antico emissario claudiano e lo inglobò nel nuovo voluto da lui, ma si guardò bene di fare altrettanto dell’originale incile romano, che per sia per forma che per metodo di funzionamento era molto diverso dall’attuale oggi dominato dal “madonnone”.
Dell’emissario originale non esistono che rare immagini (un paio di Lear e del Caracciolo le pubblicammo qui), ma ora grazie alle ricostruzioni tridimensionali realizzate da alcuni studenti dell’università dell’Aquila, possiamo capire meglio come era stato realizzato l’incile romano e persino entrare nella fabbrica dell’emissario. Con l’aiuto del professor Paolo Di Stefano ci sono gli studenti Luca Di Angelo, Caterina Pane, Emanuele Guardiani, Anna Eva Morabito, R. Fasciani e D. Gaudenzi, quasi tutti dell’università di L’Aquila e qualcuno dell’università di Lecce, che basandosi sugli studi del Fabretti, Piranesi, Brisse e De Rotrou, hanno ricostruito con delle bellissime immagini tridimensionali l’antico incile romano. Gli studenti, basandosi su ricostruzioni storiche e utilizzando dei droni, hanno anche identificato il punto esatto dove era stato realizzato l’incile romano, che se non fosse stato distrutto dal Torlonia doveva apparire più o meno così
Andando avanti ecco anche la ricostruzione tridimensionale delle vasche trapezoidali, somiglianti a quelle riportate dal Caracciolo nel 1801.
Gli studenti hanno inoltre realizzato un’interessante ricostruzione longitudinale della sezione dell’emissario, utilissima per far capire anche ai meno tecnici la grandiosità e l’attualità dell’opera romana.
Nel secondo studio, invece, gli studenti ricostruiscono la fabbrica dell’emissario, facendoci scoprire da vicino la più grande opera idraulica dell’antichità. Le prime due ricostruzioni raffigurano la sezione dell’emissario, sia sul versante dell’incile che sotto i piani Palentini.
Le altre immagini, invece, ci fanno rivivere tutte le fasi della costruzione dell’emissario sotterraneo, tra pozzi verticali scavati nella roccia, secchi di metallo sorretti da enormi carrucole, simili a quelli ritrovati poi dal Torlonia ed oggi conservati ed esposti nel castello di Celano, ma anche travi e impalcature di legno che servivano a sorreggere la volta di pietra durante l’avanzamento dei lavori nei lunghi budelli scavati dagli schiavi nelle viscere del monte Salviano.
Per chi fosse interessato a maggiori approfondimenti può trovare qui di seguito entrambe le pubblicazioni degli autori Pubblicazione 1 – Pubblicazione 2