Avezzano. Torna a far discutere la problematica sull’emergenza cinghiali. Questa volta a parlare è Vincenzo Rubeo, presidente Provinciale Enalcaccia della sezione dell’Aquila.
“In merito ai tanti articoli susseguiti circa l’emergenza cinghiali in Abruzzo, leggo che le cause del proliferare di questo ungulato sarebbero da addebitare alla caccia in braccata”, afferma Rubeo, “si prospettano soluzioni quali cattura e sterilizzazione, utilizzo di dissuasori ed addirittura mangimi sterilizzanti ed altre castronerie”.
“Mi permetto di esprimere, molto brevemente, il mio pensiero, anche se sicuramente non sarà condiviso da tutti”, afferma il presidente provinciale dell’Enalcaccia. “Innanzitutto, secondo voi, l’aumento in talune aree della presenza degli ungulati, si (perché sta crescendo anche la presenza di cervi e caprioli) è da addebitare alla caccia in braccata, o al fatto che in Abruzzo, ed in particolare nella provincia dell’Aquila, risulta interdetto all’attività venatoria il territorio per circa il 65% del TASP?”
“Nonostante sia ormai noto a tutti”, continua Rubeo, “l’aumento della presenza dei cinghiali, in Abruzzo si continua a posticipare l’apertura della caccia, ed a presentare inspiegabilmente ricorsi contro l’ attività venatoria”.
“Ecco come la vedo io“, dichiara, “indubbio che non c’è la volontà di voler ridurre la superficie dei parchi nazionale e regionali, delle oasi, e di tutti gli ammennicoli che servono solo a creare posti per gli amici degli amici e a vietare l’attività venatoria, le soluzioni secondo il mio modesto parere potrebbero riguardare la L. 157 e permettere la caccia in braccata (a coloro che pagano le tasse), che risulta il metodo più efficace per l’abbattimento dei cinghiali. Quindi potrebbe essere una soluzione allungare il periodo di caccia o permettere gli abbattimenti selettivi all’interno delle aree protette dove gli animali si rifugiano indisturbati, e dove indisturbati si riproducono”.
“Non servono metodi cruenti che infastidiscono anche gli altri animali”, conclude Rubeo, “ricordo che le esche sterilizzanti le mangiano anche agli altri animali selvatici e non. Cerchiamo di non stravolgere ancora di più questa natura già tanto bistrattata dall’utilizzo esagerato di tanti veleni”.