Avezzano. In occasione della Giornata della memoria, in collaborazione con i Comuni di Avezzano e Tagliacozzo e coordinamento artistico del Teatro dei Colori, verranno proposti due momenti di teatro e riflessione per i giovani. Il primo si terrà giovedì 26 alle 11 al Teatro dei Marsi di Avezzano, dove il Teatro Bertolt Brecht presenterà “Zingari Lager”. A seguire, invece, martedì 31, alle 10:30, al Teatro Talia di Tagliacozzo, il Teatro del Krak presenterà “Segre. Come il fiume”.
“Zingari lager”, con la drammaturgia di Alessandro Izzi, con Maurizio Stammati, Marian Serban, Petrika Namol, Mitika Namol, e Maurizio Stammati alla regia, narra la storia del grande Manush, il saggio buffone che sa rispondere a tutte le domande del mondo, obbligato a montare il tendone del suo circo nell’orrore di Auschwitz. Un viaggio nella musica e nella cultura rom, alla riscoperta della magia degli spettacoli di un tempo, tra gioia di vivere e la difficoltà di confrontarsi con il pregiudizio, alla scoperta del Porrajmos, l’Olocausto zingaro, una delle pagine meno conosciute della nostra storia recente. Zingari Lager nasce prima di tutto dall’incontro tra il collettivo teatrale Bertolt Brecht e il gruppo di musicisti composto da Marian Serban, Petrika Namol, Mitika Namol.
La drammaturgia dello spettacolo si costruisce intorno a loro e al corpo e al gesto di attore di Maurizio Stammati. Nasce, lo spettacolo, nonostante la difficoltà di un argomento come quello del Porrajmos, cui i nostri libri di Storia dedicano poche righe, per lo più occupate da cifre: 500.000 rom e sinti sterminati nelle camere a gas. Ma la questione zingara era problematica in tutta Europa e anche l’Italia cominciò a risolverla con la segregazione da molto prima delle leggi razziali del 1938. La prima difficoltà nello stendere un testo sulla questione sta tutta nella scarsità relativa del materiale bibliografico a monte. Rispetto alla Shoah, argomento che vanta ormai una bibliografia sterminata, gli scritti sul Porrajmos si contano sulle dita di una mano. Una scarsità che deriva principalmente dal fatto che la cultura zingara è una cultura prevalentemente orale. Solo negli ultimi dieci anni un’attenzione crescente ha portato alla creazione di un sito web che contiene molti documenti anche di rilevante importanza e alcune testimonianze filmate che raccontano in maniera più o meno diretta l’orrore delle deportazioni e la partecipazione dell’Italia al cono d’ombra dello sterminio zingaro.
Zingari Lager, che pure è una fantasia teatrale che, nei limiti del possibile cerca toni lievi e l’allegria della musica zingara (che costituisce parte integrante della sua spina dorsale), attinge a queste e ad altre testimonianze reinventandole in una chiave fantastica capace di entrare in sintonia anche con le esigenze di un pubblico scolare dai dieci anni in su. Per questo gran parte dello spettacolo è dedicato al tema del circo, della musica, dello spettacolo, realtà, queste, nelle quali gli zingari ebbero modo di esercitare la propria arte ed esprimere la propria personale visione del mondo. Una visione libera, viaggiatrice, scevra da ogni concetto nazionale di confini o limiti. Il circo è la magia del mondo zingaro e la musica il linguaggio della sua straordinaria universalità ed è per questo che circo e musica aprono e chiudono lo spettacolo all’insegna dello sberleffo, della fantasia, della gioia di vivere, mentre il campo di sterminio (raccontato all’interno di un altro racconto come già avveniva in La valigia dei destini incrociati, spettacolo con cui Zingari lager ha molti punti di contatto) è solo la parentesi dolorosa del racconto di un mondo alla rovescia, un circo dell’orrore dove le giostre si ribaltano in un doppio mostruoso.
Così e solo così un circense può trovare le parole per raccontare l’inenarrabile. Al centro Manush (nome non casualmente così vicino al tedesco Mann – uomo), il saggio folle, il pagliaccio che ridendo riesce a dire le più grandi verità, anche se fanno male, portavoce di un laico inno alla tolleranza e al rispetto reciproco. Ma al centro anche l’indifferenza con la quale guardiamo al mondo, senza renderci conto di come il nostro non prendere posizione si trasformi troppo spesso in complicità. Nella speranza che ricordare aiuti a far sì che tali mostruosità non siano più, mai più.
“Segre. Come il fiume”, con Alberta Cipriani, e con la regia di Antonio G. Tucci, è uno spettacolo che è stato selezionato per la finale della XIX edizione del “Festival Teatrale di Resistenza” / Premio Museo Cervi – Teatro per la Memoria 2020.
“Erede della memoria è colui che ascolta”. Liliana Segre Liliana Segre ha otto anni quando, nel 1938, le leggi razziali fasciste si abbattono con violenza su di lei e sulla sua famiglia. Discriminata come “alunna di razza ebraica”, viene espulsa da scuola e a poco a poco il suo mondo si sgretola: diventa “invisibile” agli occhi delle sue amiche, è costretta a nascondersi e a fuggire fino al drammatico arresto sul confine svizzero che aprirà a lei e al suo papà i cancelli di Auschwitz. Dal lager ritornerà sola, ragazzina orfana tra le macerie di una Milano appena uscita dalla guerra, in un Paese che non ha nessuna voglia di ricordare il recente passato né di ascoltarla. Dopo trent’anni di silenzio, una drammatica depressione la costringe a fare i conti con la sua storia e la sua identità ebraica a lungo rimossa.
“ìScegliere di raccontare è stato come accogliere nella mia vita la delusione che avevo cercato di dimenticare di quella bambina di otto anni espulsa dal suo mondo. E con lei il mio essere ebrea’. Abbiamo ascoltato le testimonianze della signora Segre incontrandola nella sua casa milanese”, ha dichiarato la compagnia, “e abbiamo letto i suoi libri, in particolare ‘La memoria rende liberi’ e ‘Fino a quando la mia stella brillerà’. Ciò ci ha convinti quanto sia importante e anche necessario portare in scena i suoi racconti: la tragedia della Shoah ma anche le conseguenze delle leggi razziali in Italia, spesso sottaciute. Oggi si vanno sempre più diffondendo forme di razzismo, di intolleranza e di violenza verso i ‘diversi’, di cancellazione umana, alimentate oltretutto da situazioni di disagio sul mercato del lavoro e dai fenomeni migratori verso l’Europa: da un momento all’altro possono aprire la via a nuove tragedie”.
La memoria della Shoah può servire a favorire iniziative per reagire ai massacri del nostro tempo. Lo spettacolo raccoglie le memorie, dalla sua viva voce, di una testimone d’eccezione in una narrazione cruda e commovente, ripercorrendo la sua infanzia, il rapporto con l’adorato papà Alberto, le persecuzioni razziali, il lager, la vita libera e la gioia ritrovata grazie all’amore del marito Alfredo e ai tre figli. Un lavoro teatrale per offrire ai giovani l’opportunità di non dimenticare la tragedia della Shoah, definita dal premio Nobel Elie Wiesel come “La più grande tragedia della storia”.