Avezzano. Pochi giorni fa, in seguito alla pubblicazione della notizia del focolaio nell’Rsa di Don Orione, la nostra pagina Fecebook è stata sommersa di commenti offensivi nei nostri riguardi.
Non credevamo di dover dimostrare, come già accaduto tante volte solo durante questa pandemia, che nel momento in cui pubblichiamo una notizia sul nostro giornale è solo perché oltre ad esserne certi ne abbiamo anche le prove. Eppure, ancora una volta, qualcuno ha preferito dubitare di quello che scrivevamo, facendo di tutto per screditare il nostro lavoro e quello dei nostri giornalisti. Oltre ai commenti scurrili e incivili, che abbiamo cancellato, siamo stati accusati di aver fatto “terrorismo psicologico”, di aver pubblicato “corbellerie” o di “mistificare la realtà”. Gli attacchi e le smentite sono arrivati da più fronti, persino da qualche testata “concorrente” ma poi alla fine tutti, compreso il Tg1 della Rai, sono stati costretti a dover pubblicare la notizia che noi avevamo dato con quasi due giorni d’anticipo.
Dopo più di dieci anni di attività sappiamo bene che la foresta che cresce fa meno rumore dell’albero che cade, e che non vale la pena farsi rovinare il fegato da quelle poche decine di contestatori, rispetto ai milioni di lettori che ogni mese scelgono le nostre pagine dei nostri quotidiani per informarsi. Eppure fa male, per chi fa il nostro lavoro con serietà e dedizione, leggere cattiverie gratuite come quelle che sono state pubblicate in quei giorni.
Per fortuna di tanto in tanto qualcuno ci mostra apprezzamento per il nostro lavoro, e anche se purtroppo questo traspare da una lettera che per ovvi motivi non avremmo mai voluto leggere né pubblicare, quantomeno ci sprona ad andare avanti, con la consapevolezza che dare una corretta informazione in questo difficile periodo, non solo è importante, ma può persino aiutare a salvare delle vite. Di seguito la commuovente lettera che i familiari di un uomo ricoverato nella Rsa di Don Orione, hanno scritto al direttore della struttura in seguito alla sua morte.
“Le scriviamo in merito alla triste vicenda che ha interessato codesto Istituto divenuto sede di focolaio di diffusione Covid, della quale Lei ha tenuto ad informare tutti i familiari degli ospiti con una comunicazione in data 12 ottobre u.s, quando la notizia dei primi contagi era già circolata sui mezzi di comunicazione di massa. Vogliamo rimarcare la parte finale della Sua lettera in cui sottolinea l’importanza di comprendere come il virus possa essere entrato nella struttura, che fino a quel momento invece era riuscita a rimanere indenne. Ecco anche noi con Lei lo vorremmo proprio comprendere…. In una seconda missiva del 13 ottobre prontamente ha voluto aggiornare i familiari sulla situazione viste le “corbellerie” riportate su alcune testate giornalistiche per fare, dice Lei, “terrorismo psicologico” e “mistificare la realtà”. Bene, quelle “corbellerie” purtroppo sono state confermate dai fatti, dai tamponi effettuati il 12 ottobre sono risultati oltre 100 positivi al Covid fra ospiti, operatori, volontari e religiosi, forse non era proprio una mistificazione, forse qualcuno ha avuto poca consapevolezza di quello che stava accadendo…
Ce lo auguriamo davvero che si avrà la serietà di andare fino in fondo perché è stato un fatto troppo grave.
Troppo grave per accettare il comportamento di alcune operatrici che, invece, ci tenevano a comunicare attraverso i propri social media la loro positività al virus, quasi come un motivo di orgoglio, e a rassicurare sul fatto che il loro stato di salute era buono e così quello degli ospiti, quasi a voler minimizzare l’accaduto. Eh no, nostro padre non sta bene, nostro padre non c’è più a causa del contagio, per noi non è andato tutto bene, e se la perdita di una sola vita sembra un prezzo accettabile da pagare qui c’è una famiglia che non si rassegna.
Lui era affetto da una grave patologia e non era assolutamente in coma da anni come pure erroneamente è stato riportato da qualcuno, ma era comunque nel suo equilibrio, in condizioni stabili e non in pericolo di vita, a parte le conseguenze legate alla patologia, e solo un evento esterno così potente è riuscito a romperlo.
Alcuni operatori hanno avuto l’onestà intellettuale di pubblicare post in cui si rappresentava l’effettiva drammaticità di quanto stava accadendo.
Il giorno in cui si è diffusa la notizia, martedì 12 ottobre, avevamo appuntamento per una delle visite concesse nel mese, considerato il giusto contingentamento, ma nessuno ha avvisato mia madre che l’Istituto invece era stato chiuso agli accessi esterni, lo abbiamo appreso da notizie presenti sui giornali on-line. Nei giorni immediatamente successivi abbiamo cercato più e più volte di avere notizie sullo stato di salute di nostro padre, e, quando si riusciva ad avere risposta, ci veniva detto che stava bene e non aveva sintomi, tanti sono stati i messaggi lasciati in segreteria per essere richiamati, ma senza esito. Nel giorno di giovedì 15 ottobre, in cui sono arrivati i risultati dei tamponi, abbiamo chiesto di conoscere l’esito ma ci è stato risposto che non era possibile comunicare la notizia ai familiari….
Francamente ci è sembrata una cosa assurda, considerato anche che nostro padre aveva un amministratore di sostegno, la moglie, e pertanto qualsiasi comunicazione andava fatta a lei… a chi è stato comunicato l’esito ??? a lui ??? non ha diritto l’interessato, e chi per lui, a conoscere il suo stato di salute???? E per i familiari che fino al giorno 11 ottobre hanno visitato un ospite risultato poi positivo, ugualmente è stato omesso di comunicare l’esito? con rischio per la salute di tutti visto che hanno continuato svolgere le normali attività quotidiane…
Il tutto mentre la situazione era talmente grave da richiedere un intervento ispettivo dei NAS dei Carabinieri di Pescara e un Commissariamento della struttura da parte del Sindaco, e ai familiari continuava ad essere negato di conoscere le condizioni di salute del proprio caro, quando nella terza missiva del 15 ottobre si comunicavano i numeri accertati di tamponi positivi in 102 totali fra ospiti, dipendenti, volontari e sacerdoti, come si poteva solo pretendere di chiedere di stare tranquilli.
Comprendiamo lo stato di caos di quei giorni, ma diciamo anche che c’è stata una certa reticenza nell’informare i familiari su come effettivamente stavano andando le cose e un vago ingiustificato tentativo di minimizzare il tutto.
Per non parlare, a livello umano, del fatto che, a parte la comunicazione data nel giorno dell’evento, nessun messaggio di cordoglio è arrivato dalla struttura. Non avrebbe cambiato nulla, ma dà l’idea della considerazione data a quanto accaduto. Noi come Lei, ci auguriamo davvero che si arriverà a comprendere come il virus possa essere entrato nella struttura, perché per nostro padre questo ha fatto la differenza e la conseguenza è stata estremamente dolorosa.”
Con ossequio A. M. e D. M.