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Don Ciotti ai marsicani: il bene si costruisce con l’inclusione, la civiltà è un grande investimento

Redazione Attualità di Redazione Attualità
3 Gennaio 2017
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Aielli. La termine legalità negli ultimi anni è stato trasformato in una bandiera che tutti usano. Per questo secondo don Ciotti è ora di usare una maggiore responsabilità delle parole, senza fare una retorica della legalità. Con questo monito il presidente di Libera, ha salutato la comunità di Aielli riunita nella sala don Gaetano Tantalo per l’iniziativa “Discorsi sulla legalità”. L’ex oratorio si è riempito ieri per l’incontro organizzato dall’amministrazione comunale e dal gruppo Primavera aiellese.

A fare il punto sulla legalità ad Aielli è arrivato don Ciotti, simbolo della lotta alla mafia, ma anche don Aldo Antonelli, referente di Libera Avezzano, Antonio Picascia, imprenditore anti camorra, Stefano Venturini, magistrato e Primo Di Nicola direttore de Il Centro. “Abbiamo intrapreso un percorso che parte da lontano”, ha commentato il sindaco di Aielli, Enzo Di Natale, dando il benvenuto a ospiti e concittadini, “prima sociale, poi politico e oggi amministrativo. Dopo l’importante tappa del rinnovo del gemellaggio con Pollica nel nome del sindaco ucciso dalla mafia, Angelo Vassallo, al quale abbiamo dedicato un parco, oggi (ieri per chi legge) confrontarci con don Ciotti e con tutti voi è un onore”. Presenti, oltre a tanti residenti e marsicani, anche i sindaci di Castellafiume, Domenico Mariani, Collarmele, Tonino Mostacci e Pescina, Stefano Iulianella. Ha rapito l’attenzione di tutti il racconto dell’imprenditore campano Picascia che si è visto distruggere l’azienda da quelli che lui chiama “scarafaggi” solo perchè ha scelto di non piegarsi. “Mi hanno proposto di assumere un fratello del boss del clan dei Casalesi, ho rifiutato e li ho denunciati”, ha raccontato l’imprenditore di prodotti chimici di Sessa Aurunca, “mi hanno bruciato l’azienda e 20 anni della mi vita sono andati in fiamme. La mattina ci siamo trovati oltre alle forze dell’ordine decine di persone che sono venute a darci una mano, ci hanno aiutato a pulire e abbiamo riaperto. Oggi i nostri prodotti sono alla Coop, abbiamo potuto comprare un’altra struttura e grazie all’aiuto di Libera e del comitato don Peppe Diana la faremo più bella perché noi siamo più forti e non vogliamo arrenderci”. La forza e il coraggio di Picascia hanno colpito la platea che per dimostrargli la sua stima lo ha applaudito per diversi minuti. La legalità, in questo caso, è stato un faro che ha permesso all’imprenditore di non cedere mai e di uscire fuori dall’incubo a testa alta. Don Aldo, ex parroco di Antrosano, ha spinto invece i presenti ad andare “oltre la legalità puntando alla legittimità e mettendo dei punti interrogativi sulle leggi che non rispettano la dignità umana”. Mentre Venturini ha sottolineato che “il giudice è artigiano del diritto e non può fare la crocerossina e parteggiare per l’imprenditore Picascia o per la vittima dello stupro ma dovrà essere indipendente e lontano dalle proprie passioni, dalle correnti che si muovono all’interno della magistratura o da un’associazione meritevole come quella di Libera”. Appassionato il racconto del direttore Di Nicola che ha ripercorso la sua carriera di giornalista durante la quale più volte è capitato di occuparsi di mafia e illegalità. “Ho incrociato la prima volta la mafia nel 1978 con Napoli e la camorra, quando non si conosceva ancora Raffaele Cutolo”, ha precisato, “negli anni me ne sono occupato diverse volte e mi ha sempre sorpreso la ricchezza di queste persone a danno poi di quelle povere. All’epoca si diceva che il giro di affari fruttasse 15mila miliardi, se lo Stato fosse stato capace di recuperare almeno parte di queste cifre non avremmo oggi il debito pubblico. Con certezza possiamo dire che la legalità è riuscire a prendere il giusto e non farselo rapinare da queste associazioni criminalità”. A concludere il dibattito è stato don Ciotti che, dopo aver raccolto le varie testimonianze dei relatori, ha lanciato dei messaggi chiari ai presenti. “Diffidate dei navigatori solitari e di quelli che sanno tutto e hanno capito tutto”, ha affermato il religioso, “c’è sempre più bisogno del contributo di tutti noi. Io rappresento un noi di tante forze e tante associazioni. Purtroppo oggi il problema più grande non sono i mafiosi, ma siamo noi. Non è possibile che milioni di italiani non prendano coscienza che bisogna ribaltarlo questo Paese che soffre ormai di una malattia mortale: la delega. Le mafie sono tornate fortissime, hanno cambiato volto e hanno aumentato la loro forza grazie a rapporti con persone di rilievo della politica, della finanza e dell’imprenditoria. La legalità non può essere l’obiettivo, è e resterà sempre uno strumento al servizio di un obiettivo che si chiama giustizia”.

 

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