Avezzano. La corte d’Appello dell’Aquila conferma: ci fu discriminazione di genere. Con la Fornero, insegnanti donne in pensione prima degli uomini (per legge). La Corte condanna il Miur per discriminazione Una sentenza memorabile quella pubblicata dalla Corte d’appello dell’Aquila sezione lavoro giovedì 21 marzo scorso, proprio nel mese che celebra la festa delle donne.
Tre giudici, tra cui due donne, la Presidente della sezione Lavoro, Rita Sannite, Maria Luisa Ciangola, nelle vesti di Consigliere e Luigi Santini, di Consigliere relatore.
Questo il fatto. Nel 2014 due professoresse abruzzesi, entrambe di Avezzano di 65 anni avevano chiesto di rimanere in servizio per totalizzare più contributi, pur avendo raggiunto l’età per il trattamento anticipato di vecchiaia. Prima erano state autorizzate a rimanere in servizio, poi la marcia indietro a causa del decreto legge 90/2014 del governo Renzi. Ma i docenti uomini, per i quali i requisiti sono più alti, avevano potuto fruire del nuovo limite pensionistico di 66 anni introdotto dalla riforma Fornero mentre il personale di sesso femminile era collocato in quiescenza un anno prima, col vecchio limite.
Per questo si rivolsero agli avvocati Salvatore Braghini e Renzo Lancia per denunciare questa ingiustizia, che le impediva di prolungare la permanenza a scuola onde incrementare la bassa quota dell’anzianità di servizio.
La Corte d’appello aquilana ha confermato in toto l’impianto delle motivazioni del tribunale avezzanese: l’impossibilità per le dipendenti donne di prolungare il rapporto di lavoro così da totalizzare un maggior ammontare di contributi sui cui parametrare la pensione è una discriminazione e come tale impone la disapplicazione della Legge Fornero (pur correttamente applicata dal MIUR) come esigono i Trattati dell’Unione Europea.
Una vittoria per le due donne, messa però in discussione dopo pochi giorni dall’appello proposto dal Ministero, che, con un ricorso di 25 pagine, sosteneva la correttezza dell’operato dell’amministrazione, affermando che l’età della pensione era uguale per le donne e per gli uomini e che comunque la legge non discriminava le donne ma le favoriva anticipandone l’uscita dal lavoro.
Non così, per i giudici della Corte d’appello, in quanto – spiegano in sentenza – la discriminazione emerge dallo stesso elenco del personale dell’ambito territoriale della Provincia di L’Aquila prodotto dal Ministero, da cui risulta che i docenti uomini sono stati collocati a riposo all’età di 66 anni mentre le donne a 65 anni, talché “il trattamento di favore riservato alle dipendenti di sesso femminile di poter essere collocate a riposo con una minore età anagrafica si è tradotto in una loro penalizzazione sotto il profilo del futuro ammontare della pensione”. Una delle due insegnanti era stata reintegrata in servizio mentre l’altra ha ottenuto un risarcimento di 12 mensilità.
“L’amministrazione – commentano gli avvocati Braghini e Lancia– aveva preso una decisione sulla testa delle lavoratrici: un accesso facoltativo al diritto alla pensione si è tramutato illegittimamente in un obbligo, tanto che ben 8 Giudici nei due gradi di giudizio hanno costantemente dichiarato l’illegittimità del collocamento in pensione d’ufficio e condannato il Ministero, anche al pagamento delle spesse. Il problema – secondo i legali – risiede proprio nell’effetto discriminatorio, come riconosciuto dalla Corte: “La norma ha creato una disparità di trattamento con i colleghi uomini che a parità di requisiti di età e di contributi hanno potuto fruire del nuovo regime previdenziale precluso alle dipendenti di sesso femminile”.
Un aspetto ancor più rilevante della vicenda è che la prima pronuncia del Giudice del lavoro di Avezzano, un’ordinanza cautelare del 2015, ha fatto scuola, determinando altre pronunce cautelari di ripristino in servizio da parte numerosi Tribunali d’Italia, e la questione oggi è stata definitivamente archiviata con una sentenza della Corte d’appello.
“Da parte del tribunale di Avezzano – spiega l’avvocato Braghini – in precedenza ci sono stati dei provvedimenti cautelari che ordinavano il reintegro delle persone che facevano ricorso. Questa è una sentenza vera e propria, la prima in Italia. Si sono accumulati gli effetti di due norme: la legge Fornero e il decreto 90/14 che per svecchiare la pubblica amministrazione ha abolito l’istituto del trattenimento in servizio”.