L’Aquila. Scatta l’indennità di accompagnamento dell’Inps per i bimbi che, fin da piccini, sono affetti dal diabete e sono “insulino-dipendenti”: il fatto che conducano una “vita normale” e svolgano tutti gli atti della vita quotidiana correlati alla loro età non fa venir meno il loro diritto ad avere “un aiuto permanente” per assumere l’insulina, fino a che non sono in grado di capire la “necessità dell’atto terapeutico” e farsene carico.
Lo sottolinea la Cassazione che ha accolto il ricorso di una mamma: tutti i giorni si assentava
dal lavoro per raggiungere la figlia a scuola e darle l’insulina perché alla bimba era stato negato l’aiuto Inps.
Con sentenza emessa dal Tribunale di Sondrio nel 2020, infatti, la signora ‘Laura’
– nome di fantasia per motivi di privacy – si è vista negare l’ indennità di accompagnamento in favore della sua
bimba, colpita dal diabete mellito a partire dai tre anni. A parere delle toghe lombarde, infatti, la piccola “pur
bisognosa di quotidiane somministrazioni di insulina da parte della madre prima con penna insulinica, poi con
Pod mediante caricamento ad attivazione, non era incapace di compiere autonomamente gli atti della vita
quotidiana”.
In proposito, i giudici di merito rilevavano – a sostegno del diniego della misura di welfare – che “a
parte le somministrazioni, la minore risultava svolgere comunque una vita normale compatibile con l’età”.
Allora ‘Laura’ si è rivolta alla Suprema Corte sostenendo che il tribunale aveva “erroneamente negato
l’indennità di accompagnamento” per sua figlia “a dispetto della necessità di un aiuto permanente per il
compimento di un essenziale atto quotidiano della vita, come la somministrazione d’insulina”. Per i supremi
giudici – ordinanza 7032, Quarta sezione civile – il ricorso della mamma “é fondato” e il Tribunale deve
rivedere la sua decisione. Secondo la Cassazione, “l’incapacità richiesta per il riconoscimento dell’indennità di
accompagnamento non è commisurata al numero degli elementari atti giornalieri, ma alla loro incidenza sulla
salute del malato e sulla sua dignità come persona”.
“Anche l’incapacità di compiere un solo genere di atti – prosegue la Suprema Corte – può attestare, per la rilevanza di questi ultimi e l’imprevedibilità del loro accadimento, la necessità di una effettiva assistenza giornaliera”. Pertanto, il Tribunale di Sondrio ha sbagliato “nella parte in cui disconosce il diritto all’indennità di accompagnamento, solo perchè la minore conduceva una ‘vita normale compatibile con la sua età’, nel periodo in cui necessitava dell’assistenza della madre per l’assunzione dell’insulina”.
Nel verdetto, i supremi giudici ricordano che nel novembre 2015 la bimba utilizzava
un mini Pod che veniva gestito dalla madre per il caricamento dell’insulina e l’erogazione del farmaco, e tutti i
giorni ‘Laura’ fino al giugno 2018 usciva dal lavoro per andare in classe della figlia che frequentava la scuola
elementare per erogarle la terapia di cui aveva bisogno. Poi con il passaggio alla scuola media inferiore, la
bimba – ormai più grandicella – riusciva “ad utilizzare da sola l’erogatore e non aveva più bisogno
dell’intervento del genitore”.
Per gli anni dal 2015 al 2018 ‘Laura’ vuole che sia riconosciuto il diritto della figlia all’indennità. Secondo la Cassazione, l’impossibilità di compiere gli atti della vita quotidiana deve essere intesa anche “alla luce dell’età, delle condizioni psicofisiche” della persona che chiede l’accompagnamento e quando si tratta di bambini si deve tenere presente quando ancora non possiedono “la capacità di intendere il significato, la portata, la necessità, l’importanza degli atti quotidiani” dai quali dipende “la salvaguardia della propria condizione psicofisica”.