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Delitto Cesaroni, quel misterioso legame tra via Poma e la Marsica

Luca Marrone di Luca Marrone
2 Settembre 2022
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Avezzano. “Sicuramente, tutto è stato preparato per coprire qualcuno molto importante che non doveva assolutamente apparire coinvolto in uno scandalo di proporzioni catastrofiche per la sua carriera…” è quanto si legge in un messaggio anonimo spedito lunedì 20 giugno 1994 e indirizzato a due avvocati di Roma, Raniero Valle e Michele Figus Diaz. Il primo è padre di Federico, all’epoca sospettato dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, il secondo è – insieme a lui – difensore del giovane.

Il riferimento al delitto, nel messaggio anonimo, è evidente e poco fraintendibile. La busta risulta essere stata spedita da Avezzano.

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Menzione della circostanza, non tra le più note della vicenda correlata all’omicidio di Simonetta Cesaroni, è contenuta in un corposo contributo che, alcuni anni fa, il criminologo Carmelo Lavorino ha dedicato al caso. Nel volume non si trascura di porre in evidenza un dettaglio che, forse, potrebbe non derivare da una coincidenza: Avezzano, precisa l’autore, è la città natale di due figure impegnate nell’indagine: il pubblico ministero Pietro Catalani, allora titolare dell’inchiesta, di turno in Procura il 7 agosto 1990, quando il cadavere di Simonetta è stato rinvenuto, e Arturo Pollo Poesio, biologo e medico legale, incaricato proprio da Catalani, il successivo 14 agosto, di identificare le macchie di sangue trovate nell’ufficio di via Poma, prelevare il sangue al portiere Vanacore e analizzare le tracce ematiche presenti sui pantaloni di questi, nonché tutto quanto fosse stato impiegato per effettuare le pulizie degli uffici dell’Aiag.

La lettera anonima ricevuta dai due avvocati non si limita all’allusione sopra riportata, si spinge a mettere in dubbio la fondatezza della pista allora seguita dagli investigatori: “All’improvviso”, prosegue il testo, “apparve il supertestimone Voeller che racconta di avere conoscenza diretta dell’omicidio Cesaroni. Riferisce di conoscere direttamente Giuliana Ferrara e che questa in una conversazione telefonica gli avrebbe confidato, nei giorni in cui i giornali riportarono l’omicidio di Simonetta Cesaroni, che il figlio era rientrato a casa con una ferita alle mani.”

A cosa si riferisce “l’anonimo avezzanese”? Com’è noto, proprio alle circostanze che hanno dato vita alle indagini su Federico Valle, poi approdate al suo proscioglimento. Circa un mese prima dell’omicidio, nel luglio 1990, l’uomo citato nel messaggio, Roland Voeller, commerciante di auto originario di Innsbruck e confidente della polizia, aveva fortuitamente conosciuto Giuliana Ferrara, madre del giovane Valle, con la quale aveva instaurato un rapporto di confidenza tale da indurre la donna appunto a riferirgli – secondo quanto sostenuto dallo stesso Voeller – che il 7 agosto 1990 il figlio avrebbe fatto ritorno a casa con una ferita e con gli abiti sporchi di sangue.

Sappiamo che quanto riferito dal discusso “supertestimone” non sarebbe risultato convincente e che lo sviluppo investigativo nato dalle sue dichiarazioni si sarebbe infine rivelato privo di consistenza. Ciò anche in conformità con i dubbi avanzati dall’anonimo autore della lettera spedita da Avezzano e che costituisce, potremmo dire, un mistero minore in una vicenda in cui gli aspetti oscuri abbondano. Un mistero minore ma non privo di interesse e che pone degli interrogativi, soprattutto se riletto alla luce degli sviluppi recentemente registratisi. In un articolo pubblicato su La Repubblica il 14 maggio 1994, si legge che gli investigatori “continuano a nutrire forti dubbi sulla versione fornita da Roland Voller” e si fa riferimento alla possibilità che qualcuno, dietro le quinte, abbia manovrato per vanificare gli sforzi investigativi tesi a identificare gli autori, tra gli altri, proprio del delitto di via Poma.

Ipotesi che si è prospettata più volte, in tanti anni, spesso alimentata da numerose, incontrollate illazioni. E che, in qualche misura, sembrerebbe essersi riproposta negli sviluppi più recenti che, come abbiamo letto nei mesi scorsi, prenderebbero in considerazione anche la possibilità che qualcuno abbia orchestrato una serie di depistaggi tesi ad allontanare l’attenzione degli investigatori dal vero responsabile del delitto. Sulla reale esistenza di tali depistaggi, sulle loro effettive proporzioni e sui soggetti in essi coinvolti, non siamo ovviamente in grado di dire nulla e possiamo solo attendere eventuali, nuovi sviluppi dell’indagine (da più d’uno ritenuti peraltro improbabili).

Resta la constatazione che tali depistaggi erano stati esplicitamente richiamati anche dall’anonimo avezzanese, la cui identità e le cui reali intenzioni restano avvolte nel mistero, come il motivo che lo ha indotto a inviare il messaggio proprio dalla città della Marsica. Viveva nella zona? O ha scelto Avezzano perché, come abbiamo visto, terra d’origine di due persone impegnate nell’inchiesta? Ha voluto, anche in questo modo, lanciare una sorta di messaggio? Poteva vantare una conoscenza diretta ed effettiva del caso o si trattava di un mitomane? Altri interrogativi che si aggiungono ai tanti che continuano a caratterizzare la vicenda.

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