Avezzano. Perché l’uomo italiano a distanza di anni sembra non riuscire a ripulire gli aspetti più bui della sua stessa mentalità? A rispondere a questo interrogativo è stato l’attore Massimo Dapporto che, proprio questa sera, ha portato in scena lo spettacolo dal titolo “Un borghese piccolo piccolo”, inaugurando la stagione di prosa del Teatro dei Marsi. Ispirato al romanzo di Vincenzo Cerami, la rappresentazione mette in vetrina anche una piccante critica alle raccomandazioni e al clientelismo, tipici difetti della società italiana di oggi. “Per riuscire a invertire questa avversa rotta bisogna modificare il DNA dell’uomo”, rivela con un tocco ironico l’attore, “questo tipo di mentalità fa parte oramai della nostra cultura. Gli anni passano ma noi rimaniamo sempre sulle stesse posizioni. Se mai dovessimo cambiare”, continua, “ abbiamo bisogno di altrettanti anni e di fare un passo alla volta. Per ora purtroppo si aggirano nell’aria ancora troppi interessi in molti ambiti della realtà”. Lo stesso personaggio principale del comico e, insieme, tragico spettacolo rimanda a questo tipo di categoria umana. Giovanni Vivaldi, infatti, alla soglia della pensione, cerca a tutti i costi di aiutare suo figlio a inserirsi nel mondo lavorativo, arrivando a iscriversi a una loggia massonica al fine di acquisire amicizie e favoritismi. “Giovanni Vivaldi”, racconta Massimo Dapporto, “rappresenta nello spettacolo l’emblema della mentalità italiana e il pubblico è il primo a capire che si parla dei giorni d’oggi anche se si tratta di una situazione vissuta a metà degli anni 70”. Cosa si aggira nella testa del protagonista? Cosa gli è accaduto precedentemente nella sua vita? Sono queste alcune delle domande che il grande attore si chiede al fine di comprendere a 360 gradi la persona da dover interpretare. Ecco svelati alcuni dei segreti utilizzati per riuscire al meglio nel suo lavoro. “Io quando leggo un personaggio, dopo averlo analizzato a fondo, penso anche a cosa c’è in lui che non si racconta e che ancora non conosco. In più cerco dei modelli di persone che ho incontrato nella mia vita e che corrispondono a quel tipo di personalità e ne faccio un mix. Ogni sera davanti al pubblico poi tiro fuori un elemento nuovo del suo carattere, arricchendolo di volta in volta. Ciò che è importante”, tiene a specificare, “è non esser mai portati ad avere la sicurezza totale di ciò che si dice. Giorno dopo giorno si diventa sempre più padrone del personaggio e ciò non va bene perché c’è il rischio di diventarne uno diverso”. Vincente, infine, è l’aggettivo che tra tutti Dapporto crede descriva appieno l’intero spettacolo e conclude: “Il pubblico una volta fuori dal teatro deve discutere, deve analizzare i personaggi e parlare di ciò che è accaduto con le stesse emozioni che la rappresentazione nella sua semplicità gli ha trasmesso”. Giorgia D’Ascanio
Foto: Teatro La Fabbrica