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Da Siracusa alla Turchia, la storia di Ayse raccontata dalla Iena avezzanese Giovanna Palmieri

Federico Falcone di Federico Falcone
12 Febbraio 2017
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Avezzano. “La vicenda di Ayse è una storia di coraggio e voglia di vivere dalla quale dovremmo prendere esempio”. La giornalista avezzanese Giovanna Nina Palmieri, volto noto della tv per via delle inchieste condotte nel programma “Le Iene”, martedì 7 febbraio, presso il castello Orsini di Avezzano, ha presentato il suo secondo libro dal titolo “Liberasempre”. Affiancata da Domenico Ranieri de “Il Centro” e Gianmarco Menga di Mediaset Premium ha ripercorso le tappe salienti della vita di Ayse, raccontando la storia della ragazza siciliana “trattenuta” con l’inganno in Turchia, paese d’origine dei genitori, per redimerla dalla sua eccessiva “occidentalità”. La coraggiosa reazione dell’amica del cuore Chiara scatena la caparbietà delle Iene che, tra minacce e intralci burocratici, trovano la soluzione e ne permettono il ritorno in Italia dopo mesi di attesa, durante i quali si è temuto per la sua vita.

1 – Quando hai iniziato a lavorare a “Liberasempre”?

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Mi sono imbattuta nella storia di Ayse nel maggio del 2015 e a settembre siamo riusciti a riportarla in Italia. L’idea del libro è nata dopo la messa in onda del servizio nel mese di ottobre dello stesso anno. In realtà, però, ho iniziato a scrivere il libro quest’estate perché “Le Iene” totalizzano il mio tempo e, nonostante scrivere mi appassioni, non credo di potermi definire una scrittrice. Questa storia, triste ma dal finale lieto, mi ha presa e coinvolta e l’idea di metterla per iscritto, potendo inserire maggiori dettagli rispetto a quanto la tv mi avesse concesso, è stata grandiosa. Ayse ha subito approvato l’idea e, nonostante ci sentissimo solo da lontano, principalmente tramite skype, perché lei era a Siracusa e io all’estero, adesso eccoci a raccontare il libro che la vede protagonista.

2 – La tua professione di giornalista ha, in qualche maniera, influenzato la tua idea di scrivere questo libro o il modo di approcciarvi?

Non proprio perché, in realtà, non ho mai fatto la giornalista “cartacea” – ride – . In tv e, soprattutto, a “Le Iene”, i servizi me li scrivo da sola in collaborazione con i miei tecnici e staff. Il libro è scritto in forma soggettiva ma da diversi punti di vista. Di Ayse in prima persona, di Chiara la sua amica, e con un mio racconto alla fine. Siamo tutti protagonisti della storia raccontata anche se da diverse prospettive. E’ stato spontaneo scriverlo così, forse perché sono stata influenzata da quello che vedo e leggo. Mi son dovuta calare nei panni di Aysee bambina e prigioniera. Capire le dinamiche vissute una volta tornata a casa e, inoltre, entrare nell’ottica di Chiara, l’amica del cuore, che ha fatto di tutto per aiutarla. Forse la fatica è stata quella di pensare come una ragazza di vent’anni. Io ne giusto il doppio – ride –

3 – Il tuo lavoro con “Le Iene” consiste principalmente in denunce sociali che, spesso, hanno risvolti positivi. Ti aspetti che  questo libro possa smuovere le coscienze e porre più attenzione su queste vicende?

Rispetto ai servizi con “Le Iene”, come  giustamente hai sottolineato, la differenza è che, passata l’onda emotiva, il servizio rischia di essere dimenticato. Il libro, invece, resta. Quello che ti posso dire, citando Aysee, è che “io non pensavo di diventare famosa, né volevo diventarlo, per la mia storia triste”. Lei ha voluto raccontare questa storia trovando il coraggio di denunciarla e, esattamente come lei,  la speranza è che chi vive situazioni analoghe, possa trovare il coraggio di fare lo stesso. Realtà di questo genere, legate a questioni culturali, antropologiche e, purtroppo, misogine, sono frequenti anche in Italia.

4 – Hai sottolineato che in Italia vicende di questo genere vi sono, nonostante tu non abbia avuto testimonianze dirette..

Non ho testimonianze dirette, vero. Però, mi sono state riferite anche da numerosi colleghi. Il padre di Aysee è un uomo molto rispettato per via della sua professione di giardiniere, oltre a essere un gran lavoratore. Quello che accade tra le mura di casa, invece, è cosa ben diversa. L’uomo burbero e misogino quale è non lo fa vedere perché, secondo la sua concezione, la donna deve stare a casa e fare ciò che decide lui. In Italia, rispetto agli anni addietro, sicuramente molte cose sono cambiate in positivo. La realtà è che l’indifferenza, l’omertà e il silenzio uccidono. Sono difficili da abbattere ma bisogna muoversi per sconfiggerle. Ma questo è un problema culturale e non religioso, è doveroso e fondamentale sottolinearlo. Federico Falcone

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