Avezzano. Nell’universo dell’immaginario collettivo, soprattutto sportivo, Cuba, fino a poche decine di anni fa, rappresentava una realtà irraggiungibile, volutamente chiusa in sé stessa e, quindi, totalmente dissociata dal resto del mondo. Nel paese sudamericano, il talento, spesso elevatissimo, dei singoli atleti, trovava opposizione in una politica interna che, nel suo esplicarsi, era un vero e proprio freno alla loro consacrazione. Di questo, ma anche di molto altro, viene narrato tra le pagine del libro “Cuba e sport – evoluzione di una rivoluzione”, scritto dal giovane autore avezzanese Antonio Rico, classe 1986. Presentato ieri pomeriggio presso la sala conferenze del Palazzo Torlonia ad Avezzano, ha visto la partecipazione di una importante cornice di pubblico e di ospiti illustri come Luciana Pasquini, docente dell’università “G. D’Annunzio” di Chieti – Pescara, del sindaco di Avezzano, Giovanni Di Pangrazio, e di altri rappresentanti della cultura e dello sport marsicano.
Attorno ai contrasti presenti nel mondo dello sport, ruotano , però, fenomeni culturali e sociali che non possono essere ricondotti a un mero aspetto secondario. Ed è proprio da queste basi, dall’essere Cuba una realtà unica nel suo genere, che Rico getta le basi per una riflessione: “ Il tutto è frutto di una rimodulazione del socialismo che diviene tailor-made per la necessità e le caratteristiche di un popolo che si trovava a ricostruire le sue stesse fondamenta – dichiara Rico – in particolare è diverso, rispetto al resto dello scenario mondiale, il ruolo dello sport, che non avrebbe mai potuto legittimarsi attraverso un grande evento, come nella storia dei grandi regimi è sempre accaduto (Berlino 1936, Pechino 2008) divenendo programma strutturale a lungo termine, che agisce nel quotidiano e assurge ad asset cruciale del sistema castrista”.
Il parallelismo tra sport e società risulta, quindi, essere un importante spunto per analizzare le vicende di casa nostra, l’Italia, dove lo stesso, sempre più di frequente, viene considerato come un ostacolo, un freno, alla realizzazione professionale di una persona. “ Troppo a lungo lo sport, dal punto di vista lavorativo, accademico, economico, ha avuto la legittimazione di figlio di un Dio minore, la reputazione di essere deminutio capitis di altre fattispecie. Tutto ciò che è importante va secolarizzato e lo sport sfugge a questa possibilità. Qualcosa sta cambiando, le potenzialità dello sport a livello culturale, i risvolti sulla salute pubblica, il suo essere volano infrastrutturale hanno iniziato a fare breccia. Quando questo passaggio sarà definitivo, la realtà piegherà la teoria”.
Inevitabilmente anche la realtà sportiva italiana non gode di buona salute. Pensiamo alla carenza, o all’abbandono, di impianti sportivi. Oppure pensiamo ai così detti sport “minori” che, invece, sono quelli che portano a casa più medaglie dando, così, maggior prestigio al tricolore. In questo, Rico, è d’accordo con il sottoscritto, sottolineando l’importanza di dover recuperare il tempo perso e continuare, incessantemente, a lavorare per creare una cultura sportiva che, per definizione, non può essere monocratica e segnatamente calcistica. “Il deficit infrastrutturale è palese e gravissimo. Le Olimpiadi avrebbero potuto mettere una toppa, ma sempre di toppa parliamo. C’è bisogno di interventi strutturali e, soprattutto, connotati da capillarità. Ed in questo sta anche la possibilità di affermazione di discipline trascurate mediaticamente e politicamente, ovvero nel loro poter essere fruibili, altrimenti – conclude Rico – la sperequazione di mezzi esistente impedirebbe un’inversione di tendenza”. Federico Falcone