Avezzano. Ritorsioni e maltrattamenti nei confronti degli stranieri nella Centro accoglienza. Queste le accuse che hanno portato alla condanna a 5 anni e 10 mesi di reclusione per estorsione nei confronti di Carmine Bisceglie, 79 anni, di Roma ma da anni avezzanese di adozione.
L’imprenditore, ex docente universitario, era finito sotto processo nel 2012 accusato di maltrattamenti di minori, in prevalenza stranieri, e di estorsione nei loro confronti. Reati che, il titolare del Centro accoglienza per minori di Avezzano, avrebbe messo in atto all’interno della struttura.
Li costringeva, secondo quanto emerso dal processo, a lavorare in nero in cambio di una telefonata ai genitori. Oppure a mangiare carne di maiale, pur essendo musulmani. Sono alcune accuse che hanno portato il giudice del tribunale di Avezzano, Marianna Minotti, a emettere la sentenza. Il pubblico ministero, Maurizio Maria Cerrato, aveva chiesto nove anni di reclusione. L’imprenditore, difeso dall’avvocato Pasquale Milo, ha ottenuto la prescrizione del reato di maltrattamenti di minori, ma è stato condanna per l’estorsione.
L’operazione che aveva portato al suo arresto si chiamava “Free Boys” (ragazzi liberi) e u condotta dai carabinieri del Nas di Pescara, in collaborazione con quelli di Roma. L’indagine aveva portato al sequestro di parte della struttura da 12 milioni di euro che si trova nella zona nord di Avezzano. Al momento dell’arrivo dei carabinieri, si trovavano all’interno della casa famiglia sei minorenni, un ragazzo abruzzese e cinque stranieri.
L’indagine era scaturita da una segnalazione del Comune di Avezzano che a sua volta si avvaleva di una nota del “Dipartimento promozione dei servizi sociali e della salute” del Comune di Roma. Nel documento si parlava di comportamenti inadeguati da parte del personale educativo. Le lamentele erano arrivate proprio dai ragazzi. Secondo le accuse, per poter avere il permesso di contattare i genitori all’estero, i ragazzi venivano costretti a lavorare in nero all’interno di un cantiere edile gestito dal figlio del titolare della struttura ricettiva.
In un caso un ragazzo si era procurato un infortunio. Non era stato portato al pronto soccorso ma curato nella struttura. Sembra, inoltre, sempre secondo la tesi accusatoria che ha portato alla condanna, che il menu dei giovani ospiti era unico e condiviso con i pazienti della Rsa per anziani e ciò comportava, per i minori, uno scarso valore nutrizionale ma anche l’assenza di alternative per chi, per motivi religiosi, non mangiava carne di maiale. Ai ragazzi, inoltre, sempre secondo l’accusa, al loro arrivo in comunità non venivano forniti abbigliamento intimo o scarpe.
La difesa, in particolare il difensore dell’imprenditore, l’avvocato Pasquale Milo, ritiene che la sentenza sia “assolutamente ingiusta avendo io dimostrato nel corso della mia arringa durante 2,30 l’assoluta insussistenza dei reati ascritti all’imputato, sia in punto di fatto che in punto di diritto, tutto attraverso l’attenta disamina delle deposizioni testimoniali a discarico del mio assistito e la produzione di fatture d’acquisto per prodotti alimentari di circa 137mila euro annui, Oltre a una fattura di 1.600 euro di bolletta per le telefonate internazionali”. Ha preannunciato appello dicendosi “sicuro che la corte riformerà la sentenza assolvendo l’imputato da entrambi i reati”.