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Concessione Sponga: Italiana beverage presenta ricorso al Tar contro l’assegnazione a Norda

Redazione Attualità di Redazione Attualità
8 Maggio 2017
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Canistro. La Italiana Beverage, società del Gruppo Colella, ha presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo contro l’esito del bando di gara con cui, il 22 marzo scorso, la Regione ha assegnato in modo provvisorio alla Norda Spa, del gruppo dei fratelli Pessina, la concessione di Acque minerali “Sant’Antonio-Sponga” di Canistro. Alla base dell’istanza, tra le altre cose, l’assenza di una valutazione di impatto ambientale precedente al bando, pubblicato il 15 dicembre scorso, e il mancato rispetto del requisito della convenienza economica per l’amministrazione regionale nei riguardi della ricorrente. In sostanza viene contestato il fatto che la Italiana Beverage sia risultata “inidonea” all’aggiudicazione, non essendole stato assegnato un punteggio sufficiente per entrare nella graduatoria con la gara che non ha fatto registrare un secondo classificato. Nel ricorso, gli avvocati Filippo Satta, Anna Romano, Giulio Mastroianni e Raffaele Fragale sostengono che l’assegnazione sia da annullare, in quanto i parametri di valutazione adottati hanno fatto sì che l’offerta della Italiana Beverage non abbia ottenuto l’affidamento, risultando addirittura “inidonea” all’aggiudicazione, nonostante, sotto il profilo economico, fosse ben più conveniente per l’amministrazione. Infatti nell’attribuzione del punteggio nessuna rilevanza si è attribuita all’elemento “prezzo” né al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che pure è prescritta dall’articolo 95 del decreto legislativo 50 del 2016. Nel bando la Norda ha ottenuto un punteggio complessivo pari a 80,35 punti e un punteggio parziale per il piano industriale pari a 55,35 punti; la Italiana Beverage,ha conseguito un punteggio complessivo di 58,25 punti e un parziale per il piano industriale pari a 54. Lo sbarramento era posto a quota 65. Secondo i legali, la società non può essere definitivamente estromessa dalla procedura nonostante la sua proposta risulti, a tutti gli effetti, seconda classificata.

Le altre concorrenti, ovvero la società Bruni Industry S.r.l.- Comit e Acqua S.r.l. non sono state valutate poiché le due società non avevano prodotto la documentazione attestante l’idoneità economico-finanziaria. Al bando non ha partecipato la Santa Croce Spa, altro sodalizio dell’imprenditore molisano Camillo Colella, che fino allo scorso anno aveva avuto la concessione, poi revocata con motivazioni impugnate dalla stessa Spa che ha in corso con la Regione un duro contenzioso. Colella conserva la proprietà del marchio nazionale Santa Croce e dello stabilimento di Canistro. “Ci siamo rivolti al Tar perché, ancora una volta, crediamo di aver subito una ingiustizia da parte della Regione, non paga di aver tolto illegittimamente la concessione alla Santa Croce, di fatto causando il blocco della produzione – spiega Colella – La commissione ha dato una votazione insufficiente per estrometterci dalla gara in quanto, se la Norda dovesse rinunciare, non ci sarebbe un secondo in graduatoria e, quindi, si dovrebbe fare un nuovo bando”. “Per fare questo, ha inteso dare una votazione di gran lunga inferiore al punteggio ottenuto dalla Santa Croce nel precedente bando”, rimarca. In questa vicenda, Colella denuncia “un’altra illegittimità legata al fatto che la Regione, nonostante più richieste e diffide, ci ha finora negato l’accesso agli atti, quindi abbiamo dovuto presentare il ricorso senza la documentazione di gara. Noi continueremo a tutto campo la battaglia – assicura – contro le ingiustizie con denunce e richieste di risarcimento danni”. I legali di Colella osservano anche che sono stati attribuiti ben 15 punti con la cosiddetta “clausola sociale”, ovvero al concorrente che si fosse impegnato ad assumere per il periodo della concessione gli “stessi lavoratori della precedente società affidataria della concessione, secondo le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste dal piano industriale relativo all’attività di sfruttamento della risorsa mineraria”. Clausola che al concessionario garantirà, prevede il bando, un’enorme riduzione, pari circa al 90%, del canone da corrispondere alla Regione Abruzzo: in luogo dei 4 euro per ogni 1.000 litri o frazione di acqua minerale imbottigliata e suoi derivati prodotti, il concessionario verserebbe alla Regione solo 30 centesimi di euro. Anche in questo caso il meccanismo per l’attribuzione del punteggio alle offerte risulta inversamente proporzionale alla loro convenienza economica, con la conseguenza che l’offerta meritevole del massimo punteggio è, automaticamente e necessariamente, quella più cara per l’amministrazione. Il ricorrente stima infatti che, nell’arco temporale di un anno, tenuto conto dell’imbottigliamento di circa 184 milioni di litri di acqua, l’aggiudicatario verserà alla Regione solo 55.200 euro, piuttosto che 736.000 euro. La Regione rinuncerà, quindi, a una somma di denaro pari a circa 680.800 euro.

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Altra illegittimità segnalata da Italiana Beverage è quella di non aver fatto precedere la valutazione di impatto ambientale al bando di gara, in modo da accertare in concreto e preventivamente la “sostenibilità ambientale” del prelievo derivante dalla concessione. Come evidenziato dagli avvocati, la sola adozione del Piano regionale delle acque non basta, tuttavia, ai fini del rilascio delle nuove concessioni. Come disposto dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza numero 1/2010, infatti, è necessario far precedere la valutazione di impatto ambientale in modo da accertare in concreto e preventivamente la “sostenibilità ambientale” del prelievo derivante dalla concessione. Oppure adottare un Piano regionale delle acque, sulle cui previsioni doveva fondarsi l’attività di pianificazione delle acque minerali e la stessa concessione. Ma entrambe le condizioni non si sono verificate.
L’Italiana Beverage ricorda, infine, che ha più volte chiesto di conoscere quantomeno la documentazione essenziale alla propria difesa. In particolare, i verbali redatti dalla Commissione giudicatrice in fase di valutazione delle offerte ma tale istanza è rimasta inascoltata, con la conseguenza che, a oggi, la società non conosce l’iter seguito dalla Commissione.

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