È la fine di settembre e i campi sono pieni di raccolto. C’è lavoro per tutti.
Sono le sei del mattino e la luce del giorno ancora non illumina il paese formato da case attaccate l’una all’altra e dalle baracche del terremoto del 1915.
L’uomo, rassegnato e taciturno, si volta indietro e manda l’ultima occhiata alla soglia di casa.
Qui sta affacciata la moglie, che furtivamente torna dentro e rimane chiusa in casa per tutta la giornata con una bambina che piange in continuazione.
Sulla piazza, che era un vecchio ponte, dove si trovano la maggior parte dei bar e il municipio, gli extra comunitari aspettano i pullman dei caporali che vengono a prenderli.
Una leggera nebbia si spande sulla strada che si snoda tra i campi di patate, carote, granoturco, cipolle e porta a Fucino e che prosegue fino ad Avezzano in leggera discesa. Per la strada provinciale si fa avanti un grosso trattore che occupa tutta la carreggiata.
Arrivati al campo, c’è il padrone: un operaio licenziato dalla cartiera e tornato a coltivare la terra dei nonni, visto che le fabbriche chiudono e i piccoli negozi sono surclassati dalla grande distribuzione. Con lui c’è già una persona, una faccia nuova, che si appresta a cominciare il lavoro insieme agli altri.
Comincia l’attività, che dovrebbe durare otto ore, non si ride, non si scherza, ma tutti capiscono che è una giornata particolare.
Il nuovo arrivato sprona il giovane, aiuta il vecchio, rassicura tutti con modi gentili e parole incoraggianti e le ore scorrono veloci, anche se piene di fatica.
Sul Fucino arrivano le prime ore del tramonto e i pullman ricaricano gli extracomunitari per riportarli a casa.
Lo sconosciuto resta da solo nel campo ad osservarli mentre si allontanano e pensa che la situazione sociale di oggi non sia così diversa da quella del tempo in cui visse sulla Terra.
Ma Lui è anche oggi, e per sempre, la speranza di tutti.
Classe III A, scuola Fontamara di Pescina