Celano. All’indomani della decisione del tribunale del Riesame, interviene sull’inchiesta di Celano portata avanti dai carabinieri del comando provinciale dell’Aquila, l’assessore Antonella De Santis.
Il tribunale del Riesame ha annullato le misure restrittive a carico del sindaco Settimio Santilli e del vice sindaco Filippo Piccone ma non le accuse nei loro confronti. Per entrambi è stato disposto l’allontanamento da Celano. Il loro “esilio” per ora è a Roma.
“La sintesi della narrazione apparirebbe di una semplicità unica, un déjà-vu tutto italiano: denunce di condotta illegale da parte dell’opposizione, per una fetta della maggioranza inchiesta e processo mediatico ancor prima che nei tribunali, una lunga e rassegnata attesa dell’epilogo per tutti. Un breve e generico preambolo che è anche la chiave più semplice per aprire una riflessione sui recenti fatti di cronaca giudiziaria celanese”, scrive in una nota diffusa alla stampa l’assessore De Santis, “gli imputati sono lì, soli, inconfondibili. Hanno governato per molti anni, in continuità, e adesso il giudizio del loro operato è nelle mani della magistratura. Una situazione che turba non poco il presente e il futuro della città.
Chi scrive fa parte di quella maggioranza da pochi mesi, dall’ultima piena riconferma elettorale e, manifestando la personale vicinanza nonché il dispiacere per il gravoso periodo che affrontano gli indagati, confidando allo stesso tempo nella magistratura, spera possano difendersi in ogni modo dalla valanga di accuse. D’altronde, fossero quest’ultime oro colato, avranno meritato una condanna esemplare.
Eppure, a considerare la percezione dei fatti, ad osservarla bene, non sembrerebbe poi così liscia e scontata. Meglio ancora essa appare insolita e a dir poco incuriosisce.
Che stranezza è mai quella di un popolo che non riesce ad odiare gli accusati così come non riesce ad amare gli accusatori?
Un osservatore medio della politica, che spigolasse per le strade e le piazze della cittadina, percepirebbe appieno questa discordanza di sentimenti, stentando poi ad immaginare così vicini il banco dei cattivi e quello dei buoni.
Un rebus!
Per coloro che hanno subito la scure potremmo immaginare la pietas umana che lenisce alla fine ogni sospetto e disprezzo, ma per i tribuni dell’onestà intellettuale, da anni ferrei controllori della condotta politica e morale di chi intanto governava, come mai il paese non mostra piena riconoscenza?
Insomma, qual è il movente che non li abilita alla gratitudine e al plauso generale della propria gente?
Non c’è stanza più oscura di quella della verità, ma è pur vero che, cercando bene e stando attenti a non inciampare, lì dentro tutto si trova, per chiunque.
E lì troveremo magari, poggiata da qualche parte, la differenza tra il giudicare l’operato altrui, anche duramente, che è un dovere politico sacrosanto e l’anteporre la scorciatoia della mannaia alle idee e al consenso popolare, atteggiamento quest’ultimo che fa parte in fondo dell’ordinaria strategia del male.
Vorrei essere diretta con gli accusatori politici: il paese da voi descritto come inerte, schiavizzato, straziato dal tiranno, magari è anche il paese che ha già scontato la condanna ventennale di non aver mai sentito dalla vostra bocca una linea politica senza la tara delle offese, senza bava, ossia civile. Che colpa volete dargli? La descrizione del vostro popolo replicata mille volte non è certo meno offensiva del paragone attribuito al vostro miglior nemico! Possibile che la sconfitta debba essere sempre colpa di qualcun’altro? Forse non hanno teso bene le orecchie, forse le idee e i progetti non arrivavano chiari perché foderati dalle vostre urla, dalla rabbia, da quell’eterno crucifige che è la vostra disinvoltura lessicale?
La mia vuole essere solo un’analisi politica. E politica non può essere certamente quella venuta a galla se venisse autenticata tale dalla magistratura, come non può esserlo però quella che nutrendosi solo di collera e dileggio va in cerca di qualcuno da giustiziare per poter entrare, chissà, nel cuore del palazzo e della gente.
Liquidare con qualsiasi mezzo gli avversari politici è vecchio quanto il mondo, ma non è certo il passaporto per essere amati dal popolo e nemmeno lo scatto automatico per poterlo amministrare. La sostanza del discorso é che l’affermazione per via giudiziaria rimane solo una pretesa di potere.
Ed ecco che i pensieri della gente vagano infelici in quella fitta nebbia che disorienta e schiera. E nella nebbia, svanendo la nettezza del bianco e del nero, rimane il gioco dei grigi che regala a chi ha aperto il pentolone un deludente profumo di vittoria e fa spuntare qualche fiore sulla gogna degli accusati”.
“Fossero specchio della realtà tutte le accuse fatte, fosse il linciaggio e non l’ideologia l’unico mezzo politico della bramosia di potere, il paese che ora guardo dalla finestra in questa notte di pioggia, il mio paese, avrebbe tutta la mia compassione, perché sarebbe veramente il paradiso dei peggiori”, conclude l’assessore, “bisognerà aspettare il domani, e il domani è domani per tutti!”.