Avezzano. Che l’uso o l’abuso dell’alcol tra gli adolescenti o più in generale tra i giovani sia diventato un fatto generalizzato, tanto che, pericolosamente, lo si può annoverare tra i luoghi comuni dei tempi moderni, è un fatto, di per se stesso, risaputo e analizzato da psicologi, sociologi e , forse con un po’ meno competenza, dai giornalisti. Che tale fenomeno venga ormai considerato un elemento di devianza nel contesto dei fenomeni sociali è altrettanto scontato.
Che l’alcol sia da considerare, a tutti gli effetti, una droga, tra le più pesanti, peraltro, con il privilegio della libera vendita sul mercato è ( facendo ricorso alla parodia di un famoso giornalista) fattuale. Che, invece, lo si voglia circoscrivere come fenomeno, o ancora peggio, ridurre a idealtipo, o paradigma negativo, legato a un certo territorio o a una città, è sicuramente semplicistico e fuorviante. A nulla valgono spiegazioni o giustificazioni legate alla cosiddetta semplificazione giornalistica. Non si tratta di classificarlo come cattivo giornalismo, (locuzione anch’essa semplicistica cui i detrattori di questa professione fanno ricorso perché privi di argomenti). Si tratta, invece, di mancata comprensione della reale portata del fenomeno, delle sue cause della sua diffusione che addirittura valica i confini nazionali per dilagare in tutto l’occidente, cosiddetto, progredito. Non passa giorno che le cronache non debbano occuparsi delle pervasive conseguenze di azioni scatenate da bande di giovani in preda allo sballo causato da un uso smodato di micidiali mix alcolici e anche di altro. Se il il servizio trasmesso da “Porta a porta”, riguardante il fenomeno dell’abuso di alcol nella movida di Avezzano, aveva come intento quello di proporre come modello euristico quello marsicano per una disamina della devianza sociale, quantomeno esso partiva da ipotesi di lavoro formulate sulla base, evidentemente, della vicinanza di spostamento della troupe televisiva da Roma ad Avezzano, in una logica di risparmio di tempo e denaro.
E non , invece, da una attenta riflessione di quanto questo fenomeno incida nelle grandi città o in contesti metropolitani dove si sono registrati coma etilico, pestaggi a sangue, aggressioni di ogni tipo, danneggiamenti a ripetizione e perfino perdite di vite umane. Attenzione, qui nessuno vuole negare che il fenomeno sia ad Avezzano e nella Marsica altrettanto grave che altrove. Si vuole solo contestare che elevare il capoluogo marsicano a capitale dello sballo o a modello ideale della devianza sociale, ha una scarsa consistenza argomentativa nella comprensione e conseguente nella narrazione di detto fenomeno. Ciò detto, forse un servizio giornalistico, per così dire, riparatore, potrebbe essere quello di andare a verificare quel tessuto produttivo, di studio, di progettualità, di convivenza civile, al quale danno linfa e spessore migliaia di giovani avezzanesi e marsicani. Nel mondo della cultura, della produzione, dello spettacolo, del volontariato, dell’assistenza sanitaria, dell’accoglienza è tutto un primaverile fiorire di iniziative e di giovanili impegni che e fanno onore a questo territorio. Ma si sa: le cose belle non fanno notizia, salvo casi eccezionali. Ormai siamo abituati a considerare le cose positive con un’ottica leaderistica. Se c’è un personaggio che svetta diventa oggetto di culto, se è un tessuto sociale a realizzare le positività esse si diluiscono nel brusio di fondo dei social con scarse o nulle possibilità di finire sui mezzi di comunicazione mainstream. Assecondare questa deriva, però, è pane quotidiano per i poveri di spirito e non per chi è in cattedra per contrastarla.