L’Aquila. Il Piano di abbattimento del cervo approvato con Deliberazione della Giunta Regionale Abruzzo n. 509 del 08/08/2024 non può essere attuato se prima non riceve la necessaria autorizzazione in base all’obbligatoria procedura di Valutazione di Incidenza Ambientale.
Infatti, le aree ove si prevede di effettuare gli abbattimenti sono tutte adiacenti ad importanti siti della Rete Natura 2000 (Zone Speciali di Conservazione e Zone di Protezione Speciale del Sirente-Velino, del Gran Sasso d’Italia, della Majella e del Parco Nazionale d’Abruzzo), la cui integrità ecologica e lo stato di conservazione degli habitat e delle specie di interesse dell’Unione Europea potrebbe subire un’incidenza significativa a causa degli abbattimenti. Secondo la Direttiva Habitat dell’Unione Europea, le “Linee guida nazionali per la valutazione di incidenza” (Intesa Stato-Regioni del 28/11/2019, pubbl. sulla G.U. n. 303 del 28/12/2019), adottate anche dalla Regione Abruzzo con D.G.R. n. 860 del 22/12/2021 e la giurisprudenza europea e nazionale, “la procedura di V.Inc.A. si applica sia agli interventi che ricadono all’interno delle aree Natura 2000, sia a quelli che, pur collocandosi all’esterno, potrebbero comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito” (sent. Cons. Stato n. 4327 del 13/09/2017).
Il preesistente Calendario Venatorio Regionale, già approvato e sottoposto alla procedura di V.Inc.A., non prevedeva il prelievo del cervo in nessuna forma: occorre quindi ora sottoporre alla V.Inc.A. anche questa nuova misura, con il conseguente approfondimento su basi scientifiche delle conseguenze ecologiche della stessa e la possibilità di partecipazione del pubblico al procedimento, come previsto dalla normativa vigente.
Il progettato intervento di abbattimento è basato sull’assunto che l’attuale dimensione della popolazione di cervo sia molto al di sopra del suo naturale equilibrio: in realtà il cervo è parte importante degli ecosistemi e degli habitat naturali, dei quali costituisce una rilevante componente in equilibrio con la vegetazione e con i suoi predatori naturali (essenzialmente il lupo). L’attuale consistenza della sua popolazione (circa 7.000 animali, secondo l’ultimo censimento del 2023) è ancora inferiore a quella che la specie presentava nel 1750 (circa 10.000 animali), prima dei successivi due secoli nei quali è stata portata in Italia sull’orlo dell’estinzione a causa delle massicce attività di caccia e di deforestazione. Sulla base dei dati scientifici disponibili, i biologi di Appennino Ecosistema hanno ricostruito l’andamento del numero di cervi in Italia e in Abruzzo dal 1750 al 2023: tutti i dati provengono da enti ufficiali o pubblicazioni scientifiche (IUCN, ISPRA, Mattioli et al., Riga & Focardi, etc.), salvo quelli del 1750 e, per l’Italia, del 2023, che sono stati stimati in base alla superficie di distribuzione (nota) della specie. I dati partono dal 1750, quando è noto che la specie occupava l’intero territorio della penisola italiana e quello della Sardegna, con una consistenza stimata di circa 200.000 animali, dei quali circa 10.000 in Abruzzo. Osservando il grafico elaborato dagli esperti di Appennino Ecosistema, è evidente come all’inizio del secolo scorso la specie fosse presente in Italia con poche decine di animali relitti solo al Bosco della Mesola (divenuto proprio per questo motivo Riserva Naturale Statale nel 1977), mentre era stata completamente estinta in tutto il resto d’Italia. Fu solo a partire dagli anni ’70 del secolo scorso che, grazie a coraggiose reintroduzioni attuate con successo sulle Alpi e in Abruzzo (prima nel Parco Nazionale d’Abruzzo e poi nella Riserva Statale Monte Velino, sul Sirente e sulla Majella), la specie raggiunse finalmente una consistenza più sicura, con circa 16.000 animali in Italia e circa 700 in Abruzzo (anno 1990). Successivamente, la popolazione del cervo ha quasi raddoppiato le sue dimensioni ogni dieci anni circa, quasi del tutto spontaneamente (ulteriori interventi di reintroduzione sono stati effettuati negli anni 2000 solo sulle Alpi e gli Appennini Centrali e Meridionali), occupando l’itero arco Alpino e, con interruzioni, gli Appennini Settentrionali, Centrali e Meridionali, giungendo così ai livelli attuali, che però sono ancora lontani dalla sua consistenza originaria. Appare quindi sconsiderato ed irragionevole intervenire oggi su un processo, avviato con fatica e con ingenti spese negli anni ’70 del secolo scorso dagli Enti pubblici preposti, che sta finalmente per giungere al ripristino della situazione preesistente alla nefasta azione umana sugli ecosistemi e le specie, rimediando così ai gravi errori commessi in passato dall’Uomo.