Luco dei Marsi. Il primo nucleo dell’antica città-santuario dei Marsi, che solo in epoca romana divenne il municipium di Anxa-Angitia, risale all’incirca alla prima età del ferro, e sorgeva sullo scoglio di roccia nelle vicinanze del monte Penna, situato nell’odierno comune di Luco dei Marsi, più precisamente nella località/frazione ancora oggi chiamata Petogna. L’importanza di questo centro era tale che era l’unica città dell’Abruzzo preromano ad essere conosciuta anche nell’ambiente greco-etrusco-italico della Campania. Successivamente a protezione della città venne eretta una poderosa cinta di mura, lunga quasi due 2,5 km e con ben cinque porte d’accesso. La struttura urbana, attraverso un ingegnoso sistema a terrazze rette anch’esse da imponenti mura poligonali, garantiva agli abitanti di Anxa-Angitia ben trenta ettari di funzionale impianto urbanistico e almeno tre acropoli, in aggiunta alla zona dove sorgeva il tempio dedicato alla Dea Angitia, luogo di culto a partire dalla seconda metà del IV secolo a.C. e centro politico-religioso dello stato federale dei Marsi.
Un’antica piantina ci mostra come doveva apparire l’antica città di Angitia: disegnata da Francesco Ferrante e pubblicata nel 1830 nel volume “Monumenti sabini” di Giuseppe Antonio Guattani, evidenzia benissimo sia le porte che le mura ciclopiche della città, ma soprattutto l’area dedicata al tempio della Dea. Ma un particolare della legenda salta subito all’occhio: con la lettera F è segnalata la “camera del tesoro”. Il culto della Dea Angitia era di sicuro la maggiore fonte di reddito della città: oltre alla vendita di statuine e maschere funerarie, i fedeli usavano offrire alla dea ex-voto, ma anche donativi in oro e denaro, affinché Angitia li liberasse dal dolore. E con ogni probabilità era proprio lì, nella camera del tesoro, che venivano stipate le risorse accumulate negli anni dalla città santuario. Nel libro “Le rovine d’Angizia e le tombe”, scritto da Felice Venditti nel 1938, si racconta che nelle vicinanze del tempio vennero rinvenute monete d’oro, d’argento e di bronzo, nonché un teschio d’elefante. Pochi metri più giù, dove una volta arrivavano le acque del lago Fucino, i luchesi trovarono un busto d’oro incastonato di gemme, forse facente parte della vera statua della dea Angizia, che però fu smembrato dagli orafi luchesi. Anche lo storico Giuseppe Grossi parla di importanti ritrovamenti in quell’area, come monete risalenti ai tempi della Guerra Sociale, ma anche qualche disco corazza con la chimera fucense, di cui però in seguito purtroppo si sono perse le tracce.