Ovindoli. Alpinista dal sapore internazionale sin dai primi anni ‘70, Alessandro Gogna sarà l’ospite d’onore della versione estiva del Mountain Festival ovindolese. Un alpinista letterato, scrittore delle vette ideali e delle sconfitte rielaborate sulle montagne, farà da padrino all’edizione di quest’anno.
Affidarsi all’esperienza appassionata di una guida esperta. Il 23 luglio 2016, sarà una data rossa, da ricordare, punto fermo dell’agenda elettronica del tablet dei cultori della montagna. L’alpinista genovese, alle ore 18,30, sarà l’ospite d’eccezione dell’edizione estiva dell’Ovindoli Mountain Festival, ossia la celebrazione in formato turistico e prêt-à-porter della montagna d’Abruzzo. Sono poche le occasioni in cui uno sportivo ha tempo di godersi l’anima più divertente e rilassante dello sport che pratica. Quante vette ha scalato, fino ad ora, Alessandro Gogna? Più o meno 500 prime ascensioni fra Alpi, Appennini ed altre catene montuose.
Un alpinista di fama internazionale, cresciuto a pane, montagna e ideali ambientalisti. Gogna è, nella vita di tutti i giorni, una guida alpina ed un opinion maker sulle problematiche turistico-ambientali connesse alla montagna. Fu uno dei primi alpinisti ad occuparsi dei problemi del turismo in montagna, anche in qualità di fondatore di ‘Mountain Wilderness’ (1988). Ben 17 pubblicazioni, infatti, hanno costellato, alla pari di stelle di conoscenza e di sapienza, la sua carriera sportiva ed umana al tempo stesso, assorta nell’enfasi della montagna. L’ultima fatica letteraria, dal titolo di ‘La pietra dei sogni’ (‘Versante Sud’ per la collana ‘I rampicanti’, 2015) verrà presentata proprio fra i rimbombi del Parco Sirente-Velino, nell’ambito del Festival ovindolese, e punterà a tinteggiare di ricordi l’esperienza unica del mito dell’arrampicata nell’Italia Meridionale, a trentatré anni di distanza dal fatto compiuto, per tentare di allargare la visuale classica dell’alpinista di oggi. Un libro che persegue le preziose testimonianze di chi, come Manolo e Marco Bernardi o di chi come Roby Manfrè, Gabriele Beuchod e Ornella Antonioli, a cui l’opera, peraltro, è dedicata, visse l’illusione della scoperta, l’elastica realtà della dura roccia che si ha di fronte e il sogno che non molla mai.