Avezzano. Al via davanti alla corte d’assise il processo per la morte di Collinzio D’Orazio, il 51enne di San Benedetto con delle disabilità, avvenuta il 2 febbraio del 2019. Sono accusati di aver provocato la sua morte abbandonandolo vicino al fiume di notte in area fangosa due giovani del posto, Fabio Sante Mostacci, 30 anni, e Mirko Caniglia, 29, rinviati a giudizio lo scorso mese di marzo dal gup del tribunale di Avezzano. Devono rispondere di abbandono di incapace con l’aggravante di averne causato il decesso.
A quasi quattro anni dalla morte di D’Orazio, si apre la fase dibattimentale con la prima udienza che si è tenuta ieri, 10 novembre, alle 11. Presente in aula la mamma della vittima, la signora Teresa Di Nicola che più volte è intervenuta pubblicamente per chiedere un processo veloce, che venga fatta giustizia per quanto accaduto al figlio e che emerga la verità su quella notte. La donna, insieme all’altro figlio Ghery D’Orazio, fratello minore di Collinzio, si è costituita parte civile. Dopo il giuramento dei componenti della giuria popolare, davanti al presidente Marco Billi (a latere il giudice Guendalina Buccella) sono state ammesse le prove presentate dalle parti.
L’accusa era rappresentata dal pubblico ministero Luigi Sgambati, sostituto procuratore della Repubblica di Avezzano. Sono state calendarizzate le prime tre udienze fissate al 28 novembre, al 5 dicembre e al 19 dicembre. In questa prima fase di processo, che sembra procedere dunque speditamente, saranno ascoltati tutti i testimoni e i consulenti del pm, una quindicina di persone. Poi si procederà con una nuova calendarizzazione per permettere alle difese di presentare e ascoltare i propri testimoni. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Franco Colucci, Mario Flammini e Antonio Milo. Presente per le parti civili l’avvocato Stefano Guanciale.
La vicenda ha inizio in una serata al bar del paese come tante altre. Collinzio D’Orazio aveva trascorso qualche ora con amici e conoscenti in un locale di San Benedetto. Era la notte del 2 febbraio. Da quella data di lui si persero tutte le tracce. L’ultima volta era stato visto consumare alcolici proprio in quel locale, nonostante l’incompatibilità con i medicinali che assumeva. C’è anche un filmato fatto con un cellulare che lo riprende davanti al locale. Poi le sue tracce diventano vaghe, fino a quando i due giovani indagati, secondo il loro racconto, lo avrebbero trovato per strada ubriaco decidendo di riaccompagnarlo con la loro auto, di proprietà di Mostacci, a casa. Avrebbero però sbagliato abitazione e a quel punto, secondo l’accusa, avrebbero deciso di lasciarlo in una strada più isolata dove si perdono le sue tracce.
La svolta nelle indagini arriva il 23 febbraio. I sommozzatori dei vigili del fuoco trovano il suo corpo nelle acque del fiume Giovenco, incagliato a un ramo. La procura di Avezzano ritiene che gli imputati, oltre a non collaborare con gli inquirenti per il ritrovamento del corpo, avrebbero addirittura depistato le indagini. Da qualche giorno si indaga invece su un attentato subito da mostacci. Qualcuno gli ha squarciato le gomme dell’auto durante la notte, tentando di incendiarla, proprio qualche giorno prima del processo.