Avezzano. E’ possibile coniugare accoglienza e legalità, solidarietà e giustizia? Questa la domanda che si è posto il consigliere regionale Gino Milano, responsabile dell’associazione Rindertimi al margine dei fatti di violenza avvenuti ad Avezzano. “E’ la domanda che da oltre vent’anni ci poniamo tutti”, ha spiegato, “cittadini ordinari, amministratori pubblici, personaggi della politica e della cultura, operatori del Volontariato. Tutti sappiamo che gli immigrati sono una risorsa economica e sociale e – allo stesso tempo – un problema giuridico e amministrativo. Sul mondo del volontariato, sovente, sono stati scaricati compiti che sono istituzionali, con il rischio che molte associazioni si sono ritrovate a svolgere un’azione impropria, di supplenza ai doveri degli Enti locali. Talvolta, alcuni organismi sociali hanno dovuto disgiungere la loro azione da quella delle autorità pubbliche fino a trasformarsi in una sorta di “tappabuchi”. Quanto di più sbagliato e inefficace. La miopia di alcuni indirizzi politici, l’inconsistenza di certe Amministrazioni locali negligenti ed omissive, la limitatezza delle strutture di solidarietà nel rispondere adeguatamente alle esigenze poste dal fenomeno “immigrazione”, stanno generando nella cittadinanza sentimenti di diffusa inquietudine: le ultime vicende accadute nei Centri della Marsica e nel Fucino fotografano situazioni preoccupanti che richiedono risposte congiunte e lungimiranti. La prima risposta da cercare, per stroncare sul nascere l’insinuarsi di atteggiamenti di repulsione o di razzismo, è quella di reagire, in modo fermo, sul terreno della legalità. La domanda essenziale che viene dalla gente, dalle comunità che abitano la Marsica, è una domanda di legalità. Legalità non significa compressione, bensì affermazione della dignità delle persone e tutela dei diritti di ogni individuo presente sul territorio! Non bastano interventi generici o emergenziali, rincorrendo questo o quel caso di irregolarità, illegalità o criminalità, fino alle conseguenze tragiche di episodi ultimi. Occorre, invece, una progettualità generale e concorrente tra tutti i soggetti istituzionali e sociali impegnati su questo campo, una cooperazione tra Enti locali, Forze dell’Ordine, Agenzie culturali ed educative, Organismi del Volontariato e della solidarietà civica, per fare proposte di contenuto e di merito in relazione all’integrazione di comunità etniche diverse da quella italiana. Sugli Enti locali ricade il primo ruolo di coordinamento, superando le pure funzioni esecutive di carattere normativo, verso un’azione propositiva e articolata. Sulle strutture di volontariato ricade la funzione di sussidiarietà (non di sostituzione) per operare tra coloro che stanno sulla linea di confine dell’irregolarità (e non si può far finta che non esistano o siano fantasmi da evocare per incutere paura o da sfruttare per gli “sporchi” interessi di qualcuno). Con la supervisione delle Forze dell’Ordine e dell’Autorità giudiziaria; con l’aiuto dei Centri culturali e di incontro – ove esistenti – delle comunità etniche e religiose; con la presenza insostituibile della Scuola, nella quale si stanno formando ad una società “plurale” la seconda e la terza generazione di immigrati. E senza dimenticare la Caritas, diocesana e parrocchiale, organismo di educazione alla carità e alla solidarietà della Chiesa locale. E occorre far presto, prima che la realtà degeneri ancora!”.