Avezzano. “La fede nell’opera del Creatore e del Salvatore spinge ogni cristiano a lottare perché ci sia una forte solidarietà verso i migranti, mentre si opera efficacemente, con coraggio e creatività, per sviluppare a livello mondiale un ordine economico finanziario più giusto e equo”. Ha usato le parole di Papa Francesco Lidia Di Pietro, servizio Migrantes della diocesi di Avezzano, per parlare dell’accoglienza delle strutture marsicane dei profughi fuggiti dai diversi Stati dell’Africa. “Pur non essendo soliti commentare e replicare, ci corre l’obbligo di diffondere qualche nota di precisazione e chiarificazione riguardo l’articolo comparso sulla vostra testata on line in data odierna”, ha commentato, “la diocesi di Avezzano è tutta ricompresa nella Provincia dell’Aquila. A causa del terremoto che, nel 2009, ha sconvolto il nostro capoluogo e gran parte del suo territorio, la Prefettura dell’Aquila è stata esclusa dall’accoglienza dei migranti arrivati sulle coste meridionali durante i lunghi mesi della Primavera araba. Dal marzo del 2014 però, in concomitanza con l’aumento vertiginoso degli sbarchi di migliaia di migranti (gennaio-dicembre 2014: 170 mila persone), il Prefetto Alecci si è trovato nell’impellente necessità di reperire strutture in grado di accogliere tempestivamente i primi quaranta migranti affidati al nostro Ufficio Territoriale del Governo. In occasione di questo censimento straordinario, la Diocesi attraverso la Caritas diocesana ha dato disponibilità di 4 posti nella Casa d’Accoglienza Giubileo, in piazza Matteotti ad Avezzano. Quattro, solo quattro, e non otto come le disponibilità effettive dei letti, convinti come siamo che realtà di micro-accoglienza possano garantire alla comunità ospitante e a quella ospitata bei spazi di comunione e di integrazione. L’accoglienza è dono dello Spirito e a settembre scorso, di fronte alla richiesta di ampliamento dei posti d’accoglienza, l’Associazione Rindertimi ha dato disponibilità per altri sei posti. Qualche giorno fa, sollecitati dalle numerose richieste d’aiuto provenienti sempre più spesso da donne e bambini che fuggono da scenari di guerra, devastazioni e carestie, il Vescovo Pietro ha chiesto alle comunità parrocchiali di rendersi accoglienti, mettendo a disposizione le strutture inutilizzate. Ne abbiamo qualcuna? Certo, perché qui come altrove – per omogeneità pastorale – soprattutto nei piccoli centri montani, un parroco deve reggere due o tre parrocchie. Ha risposto, per ora, l’animata comunità parrocchiale di Sante Marie, cui dalla Prefettura è stato chiesto di accogliere – dalla notte scorsa – un piccolo gruppo di 12 nigeriani (un ragazzo, nove donne, di cui sei in stato di gravidanza, e due bambini). Per inciso, le parrocchie sono enti ecclesiastici civilmente riconosciuti impegnati direttamente non solo nelle attività di religione e di culto, ma anche nelle attività complementari all’evangelizzazione: quelle nel vasto campo della giustizia sociale e della carità (artt. 15 e 16 L. n. 222/1985). Qualche piccola notazione. La prima: non affittiamo nulla, rendiamo un servizio prima di tutto a noi stessi educandoci all’accoglienza e alla condivisione. Condivisione morale e materiale con chi non ha avuto altra scelta che coltivare la speranza in un viaggio per la vita – che spesso si interrompe nel deserto o in mare. La Diocesi come realtà ecclesiale non può non collaborare fattivamente – insieme all’Anci, all’associazionismo e alla cooperazione sociale nazionale e internazionale – alla costruzione della rete di accoglienza che sul territorio nazionale garantisca subito la tutela a chi arriva nel nostro Paese fuggendo da situazioni drammatiche che gli impongono una migrazione forzata. Rispondiamo all’invito di Papa Francesco: «La fede nell’opera del Creatore e del Salvatore spinge ogni cristiano a lottare perché ci sia una forte solidarietà verso i migranti, mentre si opera efficacemente, con coraggio e creatività, per sviluppare a livello mondiale un ordine economico finanziario più giusto e equo». La seconda notazione riguarda la parola “soggiorno”. Il soggiorno lascia intendere un’esperienza vacanziera per chi lo vive e chi ospita. Non è niente di tutto questo. Il tempo che i migranti trascorrono nelle strutture, come le nostre, deputate alla prima accoglienza non è un soggiorno, ma un cammino duro, lungo e faticoso cui veniamo incontro come Chiesa accogliente e solidale attraverso una serie di servizi: mediazione culturale e linguistica, scuola d’italiano, scuola di educazione civica e normativa concernente l’immigrazione; orientamento ai servizi del territorio, assistenza legale finalizzata alla formalizzazione della richiesta di protezione internazionale, sostegno e assistenza psicologica, alfabetizzazione informatica, accompagnamento nella strutturazione delle dinamiche personali e di comunità. Servizi che operiamo verso i vulnerabili da quarant’anni – attraverso la Caritas e il Servizio Migrantes diocesano – anche senza rimborso UE. E proprio in merito a questo sarebbe opportuno riferirsi alle somme effettivamente concordate con la Prefettura dell’Aquila, anziché alle cifre gridate nei talk-show televisivi. La terza notazione riguarda le audizione nelle Commissioni territoriali competenti, che fanno un lavoro di grande responsabilità con estrema competenza. D’altra parte il tempo impiegato è proporzionale al gravoso compito di decidere del destino di una vita. Infine qualche numero: dei primi 18 ragazzi ospitati nella nostra Diocesi (dal marzo 2014 a ieri) otto hanno già fissata la data dell’audizione; a due è stato già riconosciuto il diritto alla protezione internazionale; due hanno già lasciato l’Italia”.