Tagliacozzo. Dai fornelli della sua cucina milanese, a quelli di un ristorante di Tagliacozzo. Carlo Andrea Pantaleo, una giovane promessa della cucina italiana, ha trascorso l’intero mese di luglio effettuando uno stage all’interno della cucina della Parigina, ristorante del centro storico del borgo. Nonostante la sua giovane età di 23anni, Carlo ha raccolto una ricca esperienza nell’ambito della cucina in diverse parti d’Italia, per cui abbiamo deciso di porgli qualche domanda sulla ricerca culinaria e sulla potenzialità della ristorazione del territorio:
Domanda “proemio”: come è iniziata la passione per la cucina?
L’amore e la passione sono le basi fondamentali in questo lavoro, senza di queste non si è disposti ad andare avanti, a fare quei sacrifici veramente importanti che permettono una vera evoluzione per la persona e per la ricerca culinaria. Diciamo che ho avuto modo facile per appassionarmi ai fornelli, mio padre era proprietario di un ristorante ad Assago, il Granfuoco, e sin da piccolo, sognavo di fare il lavoro di mio padre, lo chef. Lui era contrario a questa mia scelta, in vista anche dei sacrifici che avrei dovuto affrontare, ma io ero determinato a seguire le sue orme. Per cui iniziai, la scuola Alberghiera alla scuola Olivetti di Monza, ma dopo un anno decisi di rinunciare agli studi, pur ottenendo la qualifica. Da lì, la mia prima vera esperienza formativa l’ho affrontata a Verona, presso Villa del Quar della famiglia Montresor: il ristorante ereditava le due stelle michelin del famoso Bruno Barbieri e alla guida c’erano Filippo Cozzoli e Gennaro Vitto, il mio vero e più grande maestro. Per me un’esperienza difficile, perche avevo solo 17 anni, ma ricca di emozioni e significato che mi ha aiutato a crescere. Dopo altre esperienze sia a Milano che a Pavia, mio padre mi fece la richiesta ad oggi più importante della mia vita: mi chiese di prendere in mano la cucina del suo nuovo ristorante Milano37, a Gorgonzola (nei pressi di Milano): non potevo dire di no, dopo i sacrifici e soprattutto data la fiducia che mi stava mostrando.
La concorrenza a Milano è molto alta. Come ti gestisci ai fornelli?
Il mio obiettivo è distinguermi dalla massa. Ho 23 anni. La concorrenza come dici è alta e quindi faccio di tutto per mantenermi originale: vario molto sui prodotti di stagione, nel mio ristorante non troverai mai una proposta dello stesso piatto sia d’estate che d’inverno; per cui in base ai prodotti differenzio la mia cucina, tenendomi sempre allenato. Tra l’altro, oggi la cucina sembra diventata un po’ un gioco: molti sono offuscati dagli show televisivi, rimangono estasiati dall’estetica dei piatti, senza però curarsi dell’effettiva ricerca e del sacrificio che c’è dietro la preparazione. Con la crisi, quindi, molti si improvvisano chef e decidono di buttarsi in cucina: sembra che la ristorazione sia diventata solo un punto per guadagnare. Ma ovviamente, tutto ciò non può competere con il vero amore, la dedizione ed i sacrifici fatti di chi ci ha investito non solo denaro, ma anche corpo e anima.
Parliamo del tuo Stage in Abruzzo, qui a Tagliacozzo. Com’è stata quest’esperienza e cosa ti porti dietro?
Non mi lamento del mio lavoro durante l’anno, per cui ho scelto un mese nel quale la città si svuota e mi sono potuto assentare dal mio ristorante per venire qui. All’interno della ristorazione della Parigina, che ringrazio complessivamente per l’esperienza vissuta, ho cercato di trasmettere qualcosa della mia identità: in base al mio variare di stagione, ho proposto un raviolino con verdura light, fonduta di pecorino e fiori di montagna. Un piatto vegetariano, ma più che altro fresco, che possa sostituire il classico e invernale ragù d’agnello. Mi sono sbizzarrito molto con i dessert, abbiamo sperimentato un tiramisù scomposto diverso dal classico della zona. Abbiamo lavorato tanto sul cioccolato.
Sicuramente, la cucina qui rappresenta una realtà completamente diversa dalla mia, sia dal modo di gestione, che dal modo di relazionarsi ai fornelli. Tuttavia secondo me, la ristorazione dell’Abruzzo è poco valorizzata rispetto alle numerose potenzialità in relazione agli svariati prodotti che offre il territorio: dai latticini alle carni, dalla patata, alla carota, alla cipolla. Penso che bisognerebbe rischiare e investire un po’ di più in ambito culinario, specie sui giovani: i piatti della tradizione, per quanto ottimi, sono legati sempre e comunque al passato; a lungo andare rischiano di stufare. Bisognerebbe rischiare un po’ di più, investire su nuovi piatti, sempre con i prodotti del territorio, cercando di non perdere il contatto con la tradizione, ma evolvendo anche verso una nuova direzione, attraverso anche delle braccia e delle menti più giovani. In base alle mia esperienza a Milano, ho constatato che la gente si stufa sempre di più del classico piatto che può riprodursi semplicemente a casa; bisogna, quindi, lasciare spazio ai giovani ricercatori e studiosi della cucina. Tagliacozzo è una bellissima cittadina, dove mi sono trovato bene, grazie ai miei colleghi della Parigina e credo che abbia le potenzialità per evolversi veramente in ambito culinario allargando gli orizzonti.
Il tuo piatto forte?
Diciamo che variando molto, non ho un unico piatto che possa dirsi il mio preferito e il migliore, però posso dire che nel concorso culinario Identità Golose, ho proposto uno dei piatti a cui emotivamente sono più legato: l’ho intitolato “Ricordi di quando ero bambino” e rappresenta una finta frisella, piatto tipico della puglia, con crumble alla curcuma, gamberi rossi di Sicilia marinati alla birra radler, crema dolce e all’aglio, pachino essiccato al limone. Nato in puglia, terra che porto nel cuore, lì trascorrevo da piccolo le mie vacanze estive con i miei nonni che lavoravano la terra e non sempre potevano permettersi di comprarmi delle merendine, per cui spesso mi cucinavano la frisella, con acqua e pomodoro. Proporre una rivisitazione di questo piatto per un concorso culinario, mi ha reso molto orgoglioso, perché mi lega ai ricordi molto teneri della mia infanzia. Nonostante, i milleduecento chilometri di distanza, porto la puglia nel cuore e nei piatti del ristorante.
Obiettivi per il futuro?
Ovvio, la stella michelin. Ma in questo momento, quello che mi preme di più è la salute di Nicola Vittorini: ha 20anni, ed è il mio collaboratore di fiducia in cucina, ma soprattutto è un mio amico; sta combattendo una battaglia tra la vita e la morte a causa di un tragico incidente stradale ed attualmente è in coma. Per il futuro, mi auguro possa tornare vicino a me.
Raffaele Castiglione Morelli