Se la gente comincia a farsi giustizia da sé allora significa che qualcosa non va. O qualcuno non va.
Negli ultimi anni in America Latina, soprattutto in Messico, la popolazione ha imbracciato pistole, forche e mazze e si è messa a farsi la guardia da sola contro il cartello della droga. La frase diventata un inno è: “Si quieres algo bien hecho, lo tienes que hacer tú mismo”, che significa: se vuoi fare le cose bene, fattele da solo”.
Anche nella Marsica, nel suo piccolo, sta accadendo la stessa cosa, con i famosi pattugliamenti popolari di Celano, con i residenti a Magliano che si mobilitano a caccia dei ladri insieme ai carabinieri, sia con l’organizzazione di ronde a Tagliacozzo, sia con manifestini in stile WANTED attaccati per le vie della città. Ma qui il discorso è diverso. Da noi, dietro c’è una latente voglia di rivendicazione nei confronti degli stranieri. Si tende a pensare che l’immigrato sia sempre colpevole. Questo potrebbe anche starci viste le percentuali, anche se non è detto.
Ma da noi qualcosa non quadra, perché quando la stessa cosa capita a un italiano, a uno che fa parte della comunità locale, allora la storia cambia. Vedo spesso su Facebook parole di solidarietà quando un “indigeno” finisce nella reta delle forze dell’ordine, con insulti a carabinieri e polizia. Ho visto invece in questi giorni applausi agli organi di repressione quando catturano stranieri. Eppure quei carabinieri, quei poliziotti che ogni giorno sono sulle strade per combattere la criminalità, sono gli stessi, sia quando catturano un italiano, sia quando ammanettano uno straniero.
Quando la giustizia diventa lotta di strada, di fazioni, di etnia, allora non si chiama più giustizia, cambia nome e diventa vendetta, rancore, razzismo. Anche quando alla base c’è un sopruso subito, un torto dello Stato che non ci tutela, un garantismo debole, un errore della giustizia che non fa più giustizia: la soluzione non può essere la vendetta.
Tutto ciò sarebbe, in piccola parte, giustificato in uno stato senza istituzioni, ma quando le istituzioni e le forze dell’ordine danno risposte concrete, come avvenuto con gli arresti di Tagliacozzo, allora tutto questo non ha senso.
Si vorrebbe addirittura che nessun avvocato difendesse gli stranieri colpevoli, o presunti tali. Mentre quando ci sono colpevoli italiani nessuno fa di questi problemi, perché hanno diritto di essere difesi, perché, magari, sono innocenti. Mentre tutti gli stranieri non possono essere innocenti. Mai. Questo non è accettabile. Questo è poco realistico, e poco intelligente, per non dire stupido. Si vorrebbe che i giornalisti si occupassero solo di stranieri, ma poi quando in cella finiscono persone del posto si grida allo scandalo perché c’è il nome, perché c’è la foto, perché non viene tutelata la privacy. Nessuno fa problemi, però, se queste persone arrestate sono straniere.
Tutti hanno diritto a uno stesso trattamento e tutti, paradossalmente, hanno diritto di finire sul giornale, delinquenti italiani e delinquenti stranieri, perché entrambi sono essere umani, e non animali, né i primi, né i secondi. Tutti, inoltre, hanno diritto di essere colpevoli.
Ci si dimentica troppo spesso che la difesa penale dell’imputato non cerca mai l’ingiustizia, ma il bene della giustizia.
Un avvocato difensore di un delinquente (che ha un cuore, una umanità, dei sentimenti e il diritto di essere perdonato) chiede al giudice che venga concesso qualcosa che è un bene per l’imputato e cioè una giustizia equa, che non si faccia condizionare, come invece fa la gente comune, da particolari rigori dovuti a etnia, a eccesso di zelo, o a circostanze culturali, religiose e umane. Se così non fosse non andrebbero difesi nemmeno gli accusati locali, e sui quei manifestini andrebbero allora anche le facce dei politici ladri.
Se così non fosse non servirebbe il Pm, non servirebbe nemmeno il processo, e per condannare qualcuno basterebbe guardarlo in facce e vedere il colore della pelle, o il taglio dei capelli.
Pietro Guida