Era l’alba di fine novembre: fasci di luce si andavano diffondendo oltre il profilo familiare e inzuccherato del maestoso monte La Ciocca e ferivano l’aria gelida e umida del mattino.
Nebbioline sfilacciate e lattiginose vagavano silenziose sul grande lago del Fucino: sembravano anime in pena. I paesi intorno dormivano ancora, i lumi tremolavano sui davanzali delle finestre, dietro i vetri appannati negli angoli. Un uomo dall’andatura lenta e riflessiva camminava sulla riva, un passo dietro l’altro, come per misurare il tempo. Indossava una tunica lunga fino alle caviglie e i capelli gli scendevano sulle spalle. Si fermò davanti ad una casa dai muri vecchi e rimase lì ad aspettare. Il vento, dopo aver agitato le acque del lago, passò tra i suoi vestiti leggeri e lo fece rabbrividire. Allora bussò a quell’uscio socchiuso. Gli rispose il pianto disperato di un bimbo che, destatosi all’improvviso, incominciò a chiamare la sua mamma. L’uomo restò sulla soglia e lasciò che il suo sguardo vagasse nella penombra della stanza; frugò gli angoli più bui e si fermò su un giaciglio, dove il bimbo agitava le sue piccole braccia. I piedi, quelli no, erano immobili fin dalla nascita, non li aveva mai poggiati per terra, nonostante i suoi tre anni già compiuti. Quando la mamma tornò con la giara piena d’acqua, trovò suo figlio che correva nella vecchia cucina, tra le sedie male intrecciate e una madia spesso vuota, perché il pane era sempre poco: quel terreno paludoso, difficile da coltivare, non dava mai un buon raccolto. Dal lago sì, arrivava qualche pesce, ma quelli venivano venduti per soddisfare altre necessità. La pastorizia era, forse, l’attività più praticata: quei monti intorno al lago offrivano rigogliosi pascoli e, per sfamare i greggi durante i lunghi e freddi inverni, preparavano fascine e fascine di fieno, con le quali riempivano i fienili. Anche gli asini, che venivano usati per il trasporto della legna, durante la brutta stagione, se ne stavano nelle stalle, al caldo e mangiavano il foraggio.
Alla donna rimasta immobile sulla soglia, il cuore cominciò a battere all’impazzata. Che emozione! Gocce di sudore le imperlarono la fronte, già solcata da una fitta rete di profonde rughe, nonostante la giovane età; le sue gambe vacillarono ripetutamente, brividi le attraversarono il corpo e cadde in ginocchio. Si fece il segno di croce una…due…tante volte e recitò un Padre Nostro. Il piccolo Cesidio camminava a piedi nudi, sul pavimento lastricato, costellato di buche e di crepe, saltava, correva, cadeva e si rialzava… I suoi occhi grandi, scuri e tristi brillavano di una luce meravigliosa. No, non era possibile, era troppo bello per essere vero! Marta, così si chiamava la donna, si stropicciò gli occhi: credeva di sognare e aveva paura di svegliarsi. Versò allora un po’ d’acqua nel catino e si lavò più volte il viso. L’immagine del piccolo che assaporava la gioia di stare dritto sulle gambe non svaniva, allora era proprio vero!
– Tesoro, ma tu cammini, dimmi, com’è successo?
– Mammina, un uomo…c’era un uomo sulla porta – rispose gioioso Cesidio.
– Ti ha toccato? Che cosa ha fatto ai tuoi piedini? – continuò a chiedergli la mamma.
– Nulla, ho sentito solo il calore di una carezza sulle gambe, poi mi ha detto di alzarmi.
Marta prese per mano il figlioletto e uscì fuori, voleva condividere la sua gioia con le vicine e soprattutto con Immacolata, la vecchina buona alla quale lo affidava ogni giorno prima di recarsi nel bosco a raccogliere la legna.
A Trasacco e in tutti i paesi della Marsica e della valle Roveto si diffuse rapidamente la notizia: ne parlavano i pastori pascolando i loro greggi, i pescatori mentre aspettavano che qualche pesce restasse imbrigliato nella loro rete, ma soprattutto le donne che lavavano i panni sulle rive del lago. La sera del giorno seguente l’uomo raggiunse i pastori che, dopo aver ricondotto i greggi negli ovili, avevano acceso un bel fuoco e si accingevano a consumare la povera cena: un pezzo di pallocco, cioè di pizza di mais, una fetta del loro formaggio e, qualche volta, un po’ di verza ripassata in padella; qualcuno ogni tanto portava dei pesci che divideva con altri. L’uomo arrivò in silenzio e si fermò alle loro spalle, senza dire una parola. Nel freddo gelido della sera, i pastori avvertirono una fiamma ardere nei loro cuori. Si guardarono e l’uno vide il volto dell’altro illuminarsi di una luce calda e avvolgente. Intanto la legna rovinava sulle pietre che fungevano da alari e bagliori di luce illuminavano la notte appena scesa. Antonio, il pastore più anziano, come attratto da una forza irresistibile, si voltò e incontrò lo sguardo dell’uomo misterioso. Dopo un momento di smarrimento, lo invitarono a condividere il loro pasto frugale, poi lo ascoltarono. Nel cielo si accese uno stuolo di stelle, che illuminò a giorno i recinti con i greggi e la capanna dei pastori e, in quella luce… l’ospite scomparve. Durante la notte nessuno riuscì a dormire e, quando le prime luci fugarono il buio, si alzarono dai loro letti di paglia e raggiunsero Luco e Trasacco, i loro paesi accovacciati sul lago, che ora giaceva liscio e sonnolento. Trovarono l’uomo lì, su un’imbarcazione e, quando li vide arrivare, li invitò a salire. E… la barca lasciò la riva.
Classe III, scuola Ripandelli, Mattei di Civitella Roveto