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Quattromila marsicani in piazza San Pietro a Roma per abbracciare papa Francesco

Redazione Cronaca di Redazione Cronaca
26 Febbraio 2014
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9 Maggio 2025
Bergoglio, in visita all'Aquila il 28 agosto 2022 in occasione della Perdonanza, riceve in dono una casula con i simboli della Croce di Collemaggio. La stessa casula è stata scelta da papa Leone XIV per celebrare la sua prima messa nella Cappella Sistina il 9 maggio 2025. ANSA/Arcidiocesi dell'Aquila +++ EDITORIAL USE ONLY; NPK+++

Papa Leone celebra la prima messa con la casula donata all’Aquila a Bergoglio

9 Maggio 2025

Roma. Dovevano essere 2.500, poi sono arrivati a 3mila e alla fine ieri mattina in piazza San Pietro sono giunti da tutta la Marsica 4mila fedeli per assistere all’udienza di papa Francesco. Sono partiti con 80 pullman da tutti i Comuni del territorio, chi alle 4.30, chi alle 5, chi invece alle 6. C’erano le parrocchie con i sacerdoti, le suore, le associazioni religiose, le confraternite e tanti fedeli. Papa Francesco ha dato il via alla settimana delle malattie rare e in piazza San Pietro ci sarà anche una delegazione dell’Uniamo (Federazione italiana malattie rare) con 500 posti per i malati rari. L’evento è stato organizzato in collaborazione con la Pastorale della Salute del Vicariato di Roma. Al fianco del pontefice ha trovato posto il vescovo dei Marsi, monsignor Pietro Santoro, che ha fortemente voluto che i marsicani partecipassero all’evento. L’emozione dei fedeli era tantissima. Grandi e piccoli, con gli inconfondibili fazzoletti bianco verdi con il simbolo della diocesi, hanno atteso con ansia l’arrivo di papa Francesco per immortalarlo o stringergli la mano. Quando il papa è entrato nella piazza un boato lo ha accolto. I fazzoletti in aria e le grida dei fedeli hanno animato la piazza. Migliaia di smart-phone, tablet e macchinette fotografiche hanno cercato di immortalare il pontefice che si è fermato più volte a baciare dei bambini marsicani e a salutare i fedeli. Una volta sul sagrato papa Bergoglio ha parlato dell’importanza dell’unione degli infermi. “C’è un’icona biblica che esprime in tutta la sua profondità il mistero che traspare nell’Unzione degli infermi: è la parabola del «buon samaritano», nel Vangelo di Luca (10,30-35). Ogni volta che celebriamo tale Sacramento, il Signore Gesù, nella persona del sacerdote, si fa vicino a chi soffre ed è gravemente malato, o anziano. Dice la parabola che il buon samaritano si prende cura dell’uomo sofferente versando sulle sue ferite olio e vino. L’olio ci fa pensare a quello che viene benedetto dal Vescovo ogni anno, nella Messa crismale del Giovedì Santo, proprio in vista dell’Unzione degli infermi. Il vino, invece, è segno dell’amore e della grazia di Cristo che scaturiscono dal dono della sua vita per noi e si esprimono in tutta la loro ricchezza nella vita sacramentale della Chiesa. Infine, la persona sofferente viene affidata a un albergatore, affinché possa continuare a prendersi cura di lei, senza badare a spese. Ora, chi è questo albergatore? È la Chiesa, la comunità cristiana, siamo noi, ai quali ogni giorno il Signore Gesù affida coloro che sono afflitti, nel corpo e nello spirito, perché possiamo continuare a riversare su di loro, senza misura, tutta la sua misericordia e la salvezza. Ma quando c’è un malato a volte si pensa: “chiamiamo il sacerdote perché venga”; “No, poi porta malafortuna, non chiamiamolo”, oppure “poi si spaventa l’ammalato”. Perché si pensa questo? Perché c’è un po’ l’idea che dopo il sacerdote arrivano le pompe funebri. E questo non è vero. Il sacerdote viene per aiutare il malato o l’anziano; per questo è tanto importante la visita dei sacerdoti ai malati. Bisogna chiamare il sacerdote presso il malato e dire: “venga, gli dia l’unzione, lo benedica”. È Gesù stesso che arriva per sollevare il malato, per dargli forza, per dargli speranza, per aiutarlo; anche per perdonargli i peccati. E questo è bellissimo! E non bisogna pensare che questo sia un tabù, perché è sempre bello sapere che nel momento del dolore e della malattia noi non siamo soli: il sacerdote e coloro che sono presenti durante l’Unzione degli infermi rappresentano infatti tutta la comunità cristiana che, come un unico corpo si stringe attorno a chi soffre e ai familiari, alimentando in essi la fede e la speranza, e sostenendoli con la preghiera e il calore fraterno. Ma il conforto più grande deriva dal fatto che a rendersi presente nel Sacramento è lo stesso Signore Gesù, che ci prende per mano, ci accarezza come faceva con gli ammalati e ci ricorda che ormai gli apparteniamo e che nulla – neppure il male e la morte – potrà mai separarci da Lui. Abbiamo questa abitudine di chiamare il sacerdote perché ai nostri malati – non dico ammalati di influenza, di tre-quattro giorni, ma quando è una malattia seria – e anche ai nostri anziani, venga e dia loro questo Sacramento, questo conforto, questa forza di Gesù per andare avanti? Facciamolo!”. Al termine della catechesi il papa ha salutato tutti i gruppi presenti in piazza, dove si contavano circa 50mila fedeli, rivolgendo un abbraccio alla diocesi dei Marsi e al vescovo Santoro e facendo emozionare i tanti marsicani presenti. Dopo le foto ricordo e i saluti di rito i fedeli marsicani hanno avuto modo di visitare le tombe dei papi e la basilica di San Pietro per poi spostarsi nel pomeriggio al Divino Amore dove i sacerdoti, con a capo il vescovo Santoro, hanno celebrato la messa. “Nulla senza cristo e tutto per Cristo, ecco la sintesi di questa giornata”. Lo ha detto il vescovo dei Marsi, Pietro Santoro, durante l’omelia nel corso della celebrazione davanti a quattromila fedeli nella chiesa del santuario del Divino amore di Roma. “Maria”, ha pregato il vescovo ricordando che la scelta del luogo per la grande celebrazione non è stato un caso, “ci aiuti a sentici Chiesa, radicati nella Chiesa e radicati nella nostra Chiesa marsicana, portatori di Cristo. Non ci sia angolo dove Cristo non è portato da noi, annunciato da noi, nella famiglia, nella scuola, al lavoro, nella comunità, nelle parrocchie. Dio abita nelle nostre case della Marsica e nei nostri cuori, unica speranza delle nostre vite, fino in fondo, mai a metà”.

 

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