Avezzano. La crisi del lavoro nella Marsica miete vittime quotidianamente. Dal nucleo industriale di Carsoli – Oricola, fino a quello di Avezzano, passando per Canistro, si susseguono notizie di richieste di ammortizzatori sociali e cassa integrazione. Insieme al segretario provinciale della Fiom-Cgil, Alfredo Fegatelli, che sta seguendo molte vertenze in Marsica abbiamo fatto il punto sulla situazione.
Da due anni nella Marsica si rincorrono notizie su chiusure di aziende, ricorsi agli ammortizzatori sociali, mobilità e licenziamenti. I poli industriali sono stati smantellati e i giovani continuano a migrare perché oramai trovare lavoro qui è difficile. Cosa sta accadendo?
Nel 2008 gran parte del mondo, soprattutto quello occidentale ha iniziato ad avvertire i primi sintomi della crisi; vorrei ricordare che nel 2007 era stato coniato lo slogan: “Non arriviamo alla quarta settimana del mese”. Mentre il paese reale percepiva la crisi, i governi e buona parte della politica hanno sottovalutato quello che stava accadendo arrivando persino a negare l’esistenza della crisi stessa. Le imprese stesse hanno sottovalutato quanto stava accadendo sbagliando anche i calcoli della durata della crisi. In questo contesto l’assenza di una politica d’investimenti pubblici e privati ha reso sempre più debole il nostro sistema industriale. Il territorio Marsicano, purtroppo, ha subito tutti gli effetti negativi della situazione nazionale. A questo va aggiunta l’assenza di una politica regionale a supporto del sistema industriale. È opportuno ricordare la vicenda Micron: dal 27 luglio 2012 al 24 novembre 2012 mentre la FIOM denunciava l’abbandono della multinazionale la politica minimizzava. Solo grazie all’impegno dei lavoratori siamo riusciti a limitare i danni, per il momento.
La crisi del mondo del lavoro in una stessa Provincia ha diverse facce. In cosa di differenziano la crisi nell’aquilano, la crisi nella Marsica e quella nella Valle Peligna?
Le crisi dei vari territori dal punto di vista del risultato finale non producono differenze: centinaia di lavoratori licenziati senza opportunità di trovare nuovi lavori. Se dovessi evidenziare una differenza tra la crisi della Marsica e quella subita in passato dagli altri territori è la modifica scellerata degli ammortizzatori sociali effettuata dalla riforma Fornero. Nelle crisi precedenti quando un’azienda chiudeva si poteva far uso di ammortizzatori sociali che consentivano, nel dramma, un sostegno al reddito ai lavoratori. Oggi la riforma Fornero produrrà nella Marsica direttamente i licenziamenti. Questo è quello che potrà accadere ai lavoratori della Trafilerie e Zincherie di Celano e della Presider. Vorrei ricordare che nel settore metalmeccanico gli ammortizzatori sociali non sono a carico della fiscalità ma sono pagati dalle imprese e dai lavoratori.
Ogni mese si parla di cassa integrazione che sale e cassa integrazione che scende in Abruzzo. Ultimamente oltre a questi ammortizzatori sociali ne abbiamo scoperti anche altri come i contratti di solidarietà, utilizzati all’ex Micron, e la mobilità volontaria. Ma sono questi la vera soluzione alla crisi delle aziende o sono semplicemente dei palliativi per fare ingoiare ai lavoratori la pillola del licenziamento?
Gli ammortizzatori sociali non sono mai una soluzione. Tra i vari ammortizzatori sociali dobbiamo fare delle differenze. La Mobilità e la Cassa Integrazione non sono sicuramente strumenti che producono soluzioni positive. Un discorso particolare va fatto per i Contratti di Solidarietà, infatti, questo strumento, se utilizzato correttamente, produce una redistribuzione del lavoro attraverso una riduzione dell’orario di lavoro. I C.d.S. oltre a dare più dignità ai lavoratori consentono alle aziende di organizzare meglio il lavoro. Ovviamente questo strumento può raggiungere ottimi risultati se è aiutato dagli investimenti.
In questa situazione che si sta rivelando drammatica per l’intero territorio marsicano c’è uno scaricabarile di responsabilità. Il mondo del lavoro accusa le istituzioni, le istituzioni accusano il governo e tutti accusano la crisi. In tutti questi anni, secondo lei, c’è stato qualcuno che poteva fare e non ha fatto? Ma soprattutto qualcosa poteva essere fatta in modo diverso?
A questa bella domanda sono costretto a rispondere con una citazione di Albert Einstein: “ Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.” In questi anni abbiamo assistito ad una classe dirigente che ha pensato solo alla gestione del contingente progettando percorsi limitati alla durata del proprio mandato. Spesso chi doveva occuparsi del settore industriale non aveva competenze adeguate. Sarebbe stato opportuno, partendo dalle competenze, la costruzione di un progetto a lungo termine che consentisse la costruzione di strutture e infrastrutture a sostegno delle imprese. Un esempio particolare è non aver previsto un ente che supportasse le imprese sull’attrattività dei finanziamenti nazionali ed europei. Se nella crisi si pensa a fare campagna elettorale con promesse vane si fa un errore strategico. Non si può speculare sui drammi dei lavoratori. Oggi si dovrebbe metter da parte la campagna elettorale e fare un fronte comune per incalzare il governo. Bisogna unire le forze per arrivare ad una mobilitazione generale della Marsica per aprire una vertenza nazionale.
Il presidente del governo Enrico Letta ha parlato di un’Italia che si avvia verso la fine della crisi. Con qualche agevolazione e un pò di ottimismo si potrebbe anche pensare che le aziende ce la potranno fare. Eppure percorrendo le strade del nucleo industriale della città ci si rende conto che ormai le fabbriche sono diventate delle semplici scatole vuote destinate a cadere a pezzi. Cosa ci si deve aspettare dal domani?
Io non credo che siamo alla fine della crisi. In ogni caso se fosse vero quello che sostiene il presidente del consiglio si deve tener conto che le lancette dell’orologio non si sono fermate, pertanto nulla sarà come prima. Se si vuole pensare ad una futura ripresa, c’è bisogno di un investimento pubblico per rilanciare la ricerca e sviluppo e l’innovazione tecnologica. Si può superare la crisi solo attraverso un percorso che rimetta in moto la competenza, la creatività e l’inventiva. Mi permetta di concludere con un mio pensiero. L’attuale modello socio-economico basato sulla crescita ha fallito. Continuare a pensare che sviluppo e crescita sono due facce della stessa medaglia è un errore. Se vogliamo superare questa crisi c’è bisogno di progettare un nuovo modello di sviluppo, un modello che non si basi sulla crescita, un modello che non preveda che l’economia detti le regole agli Stati ma che consenta agli Stati di determinare le regole dell’economia, un modello che tenga in considerazione che siamo su un pianeta che ha dei limiti e che questi limiti non possono e non devono essere superati se vogliamo restituire ai nostri figli il mondo che ci hanno prestato.