Avezzano. Messaggio di speranza della comunità cattolica, ma di tutto il mondo politico, sociale e culturale del territorio ai lavoratori della Micron di Avezzano alle prese con una delle vertenze più drammatiche della storia occupazionale della Marsica. Il vescovo Pietro Santoro, con la messa di Natale nello stabilimento della multinazionale che ha annunciato il taglio di 7oo lavoratori su mille e 623, ha parlato di una unità che va al degli aspetti formali, ma che parte dal cuore, dal cuore di un intero popolo che, ricominciando dalla speranza del Natale e dalla nascita di Gesù è pronto a chiedere una soluzione. Alla messa di mezzanotte c’erano autorità civili, militari, del mondo sociale, dell’associazionismo. C’erano, poi, tanti lavoratori preoccupati per il loro futuro e per la sorte dell’azienda che è tra le più grandi della Provincia dell’Aquila. “Non temete, vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo: oggi è nato per noi un salvatore, che è il Cristo Signore”, ha spiegato il vescovo durante l’omelia riportata da il Velinoweb, “questo è l’annuncio che l’angelo diede ai pastori, che pernottando all’aperto vegliarono tutta la notte, facendo la guardia al loro gregge. E questo è l’annuncio per l’oggi di questa notte, per tutti noi: Dio ha varcato ogni distanza per cercare l’uomo, per salvare l’uomo, assumendo la carne dell’uomo. Dio entra nel tempo, nel nostro tempo, in ogni tempo. E noi dobbiamo rileggere la storia del Natale, rileggerla e ricollocarla dentro le nostre biografie, dentro le sofferenze e le speranze delle nostre biografie. In quei giorni, in quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse un censimento di tutta la terra. E tutti andavano a farsi censire. Bisognava mettere un nome sui registri dell’impero, il proprio nome: non importava la condizione, se povero o ricco, se lavoratore o disoccupato, se nobile o mendicante. Doveva essere tutto in ordine, anche se si certificava il disordine di chi aveva e di chi era privo di tutto, di chi era considerato soltanto un numero nell’economia globale. Anche Giuseppe, umile lavoratore di Nazareth, si mise in cammino verso la Giudea, verso Betlemme, per farsi censire con Maria, sua sposa, che era incinta. Maria custodiva nel suo grembo il mistero più vertiginoso: una persona, Dio stesso che dentro di Lei si formava in corpo, occhi, mani, cuore. E il Vangelo annuncia l’evento sconvolgente dell’ingresso di Dio nel mondo, con parole rivestite di commovente tenerezza: «Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché, per loro, non c’era posto nell’alloggio». Una mangiatoia, lo squallore della paglia accoglie il Dio della vita. Per Lui, per Maria e per Giuseppe non ci fu altra collocazione. È sempre così, carissimi, quando non si fa posto a Dio, non si fa posto all’uomo. E quando si crea una società dove non c’è posto per un solo uomo, quando a un solo uomo non viene promossa e assicurata la sua dignità, è la vita a essere cancellata. È l’immagine stessa di Dio, stampata sul volto di ogni uomo, che viene cancellata. E i pastori si mossero: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino, che giaceva nella mangiatoia. I pastori lasciarono le loro veglie per incontrare il Signore. Carissimi, anche voi, avete lasciato questa notte, la veglia dinanzi all’azienda, la veglia nelle vostre case, la veglia delle trepidazioni per il vostro lavoro, per il vostro presente, per il vostro futuro. La veglia affinché sulla vostra tavola, non ci sia la paglia, ma ci sia il pane, il pane per le vostre famiglie, il pane per i vostri figli e lo avete fatto insieme, perché se il pane è solo mio, diventa una consumazione contro la tavola della fraternità solidale. Il pane lo si impasta insieme, lo si mangia insieme, lo si spezza insieme, si spera insieme. Betlemme è la casa del pane, ed è una casa aperta, non è una casa sbarrata, dove solo alcuni possono entrare. Rientrare in questa casa, dunque, per incontrare chi si è fatto pane di Salvezza per ogni uomo, affinché ogni uomo, dopo l’incontro, esca come persona nuova, persona rinnovata nella costruzione del bene comune. Ed è la persona nuova che fa l’economia, che non riduce l’economia a finanza speculativa, quella finanza speculativa che vede l’uomo come merce da vendere e da comprare. Inginocchiarsi di fronte all’idolo del mercato finanziario, che non produce lavoro, ma che riduce il lavoro ad una variabile, significa ridurre l’uomo ad una variabile. Inaccettabile per Cristo, inaccettabile per il Vangelo, inaccettabile. Come vescovo di questa amata terra, come vescovo dentro questa amata terra, colloco sull’altare gli uomini e le donne di quest’azienda, ma anche di tutte le aziende in sofferenza di questa terra: dalla Cartiera, alla Coca Cola, alla Veplast, insieme a tante altre. Ed affido la speranza dell’alba a tutte le istituzioni, a quelle governative, a quelle locali, affinché insieme, insieme a voi, si possa passare notti insonni per forzare l’aurora. E faccio mio, sintetizzando, ma non togliendo nessuna parola, il documento simbolo letto da alcuni di voi, rappresentanti, al Premio Silone: «1623 è il numero che oggi vogliamo far rimanere nelle menti e nei cuori. Questa è la nostra terra, questa è la nostra vita. 1623». Dicevo notti insonni, per custodire ogni persona, per dare alla luce nuove nascite di vita e di lavoro. E ogni nuova nascita, voi lo sapete, nasce da un abbraccio: Dio in Gesù ha portato il suo abbraccio d’amore, affinché la trama delle relazioni tra noi e Lui e tra di noi, possano essere non muri di esclusione, ma abbracci per camminare in cordata. Quel camminare in cordata che ci fa dire: «le tue lacrime sono le mie, non cadono nella polvere e non si perdono come gocce in un giorno di pioggia». È detto nelle Scritture: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio, il suo unico Figlio. Così ognuno di noi può dire: «Io sono amato da Dio, non sono un punto smarrito, in un percorso senza strada e senza meta. Non sono un conto che non torna. Dio si è unito a me ed abita i miei pensieri, i miei sogni, le mie delusioni. Carissimi, di fronte a questo Bambino, il volto di Dio con me e per me, con noi e per noi, non possiamo continuare ad alzare la parete del rifiuto, della negazione e dell’indifferenza che è la parete più rivoltante. Quell’indifferenza che si esprime nella più rivoltante delle affermazioni: «ma io che ci posso fare?». Lo si dice, magari, per paura per perdere qualche privilegio. Dio non è stato indifferente, Dio non è indifferente al nostro bisogno di piena umanità e ci chiede di essere affamati ed assetati di giustizia, perché come ha detto papa Benedetto: «solo una giustizia universalmente garantita è degna di questo nome e ci salva dal caos e dal nichilismo». Signore Gesù, sogno il Natale definitivo, quando tutti gli uomini torneranno a sedersi accanto a Te nella mangiatoia. Perché nessuno sarà più rifiutato ed espulso. Aiutaci a non essere sordi e ciechi alle piaghe ed ai sospiri dolenti dei nostri fratelli. Donaci di non avere più braccia inerti ed intelligenze inerti, nella rassegnazione passiva. Ti preghiamo anche per quelli che non sanno e non vogliono più pregare. Donaci di accoglierti e di accoglierci, donaci di preparare e costruire una stagione degna dell’uomo, degna della nostra terra, degna della dignità dell’uomo, per anticipare così la festa della grande libertà che Tu prepari per noi nella Tua Gloria. Amen”
Foto di Antonio Oddi