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Alessio Cesareo: l’uomo oltre la divisa, pronto alla sfida per Avezzano

Redazione Abruzzo di Redazione Abruzzo
27 Dicembre 2025
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Avezzano. Chi è Alessio Cesareo? Non solo il funzionario di Polizia, ma l’uomo dietro il ruolo istituzionale. Una vita spesa tra il servizio allo Stato e l’amore per la famiglia, le passeggiate in montagna con il cane Roky e un passato da calciatore. Oggi, a 65 anni, Cesareo si toglie la divisa ma non smette di servire la comunità: è pronto a scendere in campo nuovamente, ma per Avezzano.

Dottor Cesareo, partiamo dalle origini. Qual è il suo background?
«Sono nato 65 anni fa all’Aquila, primo di quattro figli. Mio padre lavorava nella polizia, mia madre è stata casalinga per tutta la vita. Ho frequentato le scuole nel capoluogo e poi l’Università La Sapienza. Contestualmente, ho deciso di arruolarmi in Polizia. Erano gli anni di piombo, tempi difficili. Non c’erano concorsi, bastava la domanda: servivano uomini. All’inizio mio padre Valdo era contrario, preoccupato dal contesto storico, ma il suo esempio di rettitudine è stato formativo per me. Alla fine, si convinse che stavo facendo la cosa giusta».

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Come sono stati i primi anni di servizio?
«Sono stato assegnato alla scuola allievi di Peschiera del Garda, poi trasferito a Roma per la scuola tecnica. Lì ho vinto il concorso per viceispettore e ho frequentato l’istituto di perfezionamento a Nettuno. La mia carriera mi ha portato prima alla Questura di Trento, poi a Riva del Garda. Successivamente, dopo aver vinto il concorso da funzionario e frequentato il corso quadriennale a Roma, sono stato assegnato alla Stradale di Brescia».

È lì che la vita professionale si è intrecciata con quella privata?
«Sì, a Brescia ho conosciuto mia moglie Orietta. Ma la vita in Polizia è imprevedibile. Mi trasferirono in tre giorni a Messina, dove rimasi otto mesi. Infine, arrivò la chiamata per Palermo: avevano aperto l’ufficio della Dia (Direzione Investigativa Antimafia). Erano anni difficili, anche per noi, tutti giovani, non fu facile adattarci a quella situazione delicatissima».

Palermo negli anni ’90. Che ricordo ha di quel periodo?
«Ero fidanzato con Orietta. Ricordo che quando venne a trovarmi da Brescia la portai al mare a Mondello. Lei insistette molto per mettere il casco sullo scooter. Ci fermarono i carabinieri: eravamo gli unici a indossarlo. All’epoca lì non lo metteva nessuno».

Poi la scelta di tornare in Abruzzo, ad Avezzano. Perché?
«Dopo tre anni a Palermo e la partenza del prefetto Di Gennaro, sentii l’esigenza di avvicinarmi a casa. Potevo scegliere di andare ovunque, mi proposero anche Pescara, ma decisi Avezzano. Mio padre aveva avuto un infarto. Era l’estate del 1995. Avezzano era noto come il “commissariato dei veleni”. Si erano avvicendati tre funzionari e molti agenti erano sotto inchiesta. Mi documentai e accettai la sfida. Volevo dare un segnale di cambiamento e visibilità».

Il lavoro ha mai interferito con la sua vita familiare in quegli anni?
«Diciamo sempre. Mia moglie ne è testimone fedele. Il giorno del nostro matrimonio dovevamo partire alle 6 per il viaggio di nozze. Mi chiamarono per un’operazione urgente. Andai. Rientrai a casa alle 5:15 del mattino, chiusi le valigie e partimmo. Nonostante tutto, Avezzano è diventata casa mia. Qui sono nati i miei tre figli e qui ho formato la mia famiglia. Rifarei questa scelta mille volte».

Togliamo per un attimo i panni istituzionali. Quali sono le sue passioni?
«Amo la montagna. Quando posso metto le scarpe sportive e vado a fare lunghe passeggiate con il mio cane, Roky. In famiglia abbiamo anche un gatto, Romeo, che richiede molte attenzioni. Da giovane avevo una grande passione per il calcio, ho giocato in categorie importanti con L’Aquila Calcio. Ricordo con affetto una partita giocata con le vecchie glorie quando ero già lontano. Sono ricordi indelebili».

Oggi come trascorre le sue giornate?
«Cerco di essere vicino ai miei figli. Hanno 28, 26 e 25 anni e lavorano tutti fuori. Mio figlio è medico in Toscana, le due ragazze sono a Roma. Cerchiamo di supportarli in ogni modo, questo devono fare un padre e una madre del resto. Ma lo faccio con piacere, mi danno molte soddisfazioni».

Dall’uomo di Stato al candidato politico: come è maturata questa decisione?
«È nato tutto in modo del tutto inaspettato. Mi hanno proposto la candidatura vedendo in me un profilo alto, con radici solide sul territorio. Ho chiesto tempo per riflettere, era per me una scelta molto importante da fare. Durante le mie passeggiate incontravo amici e conoscenti che mi segnalavano criticità e problemi irrisolti. Alla fine, ho deciso di mettermi in gioco per loro e per la città dove ho scelto di vivere».

Qual è la sua diagnosi sulla città di Avezzano oggi?
«È una città che ha perso molto, sia economicamente che socialmente. Sono stati fatti dei lavori, certo, ma si è tralasciato troppo. Penso a piazza del Mercato, un luogo storico ora spogliato. Penso ai marciapiedi pieni di buche, pericolosi per gli anziani. Manca la cura del tessuto sociale, negli anni è stato abbandonato e ora ne paghiamo le conseguenze».

Cosa direbbe a un giovane indeciso se restare o partire?
«Che non servono promesse, ma concretezza. Non gli dobbiamo raccontare la storia che Avezzano diventerà, ad Avezzano ci sarà. Dobbiamo lavorare per fare in modo che tutto ciò avvenga. Dobbiamo rendere Avezzano di nuovo attrattiva dal punto di vista lavorativo. Solo creando prospettive reali possiamo convincerli a restare».

Come immagina la città tra cinque anni?
«Vedo Avezzano al centro della Marsica, sia a livello decisionale che economico. Dobbiamo fare squadra con i paesi limitrofi. Bisogna essere veramente una comunità unita, che viaggia di pari passo. Non solo a chiacchiere. E poi la sanità: il nuovo ospedale deve essere un’occasione per attrarre eccellenze mediche, sfruttando la vicinanza con Roma. Dobbiamo tornare a essere un punto di riferimento».

È sicuro di questa scelta?
«Sì, non ho dubbi. Sono pronto».

Tags: Alessio Cesareoavezzanoelezioni amministrative
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