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Il sogno italiano del posto fisso 

Redazione Abruzzo di Redazione Abruzzo
17 Novembre 2025
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In Italia esiste un magnetismo misterioso che tiene insieme caffè al bar, discussioni sul calcio e speranze professionali: il posto fisso nella Pubblica Amministrazione. Non il lavoro più richiesto dal mercato, ma quello che più persone vorrebbero avere quando si spengono le luci dell’ottimismo e si accende la lampadina della prudenza. Negli ultimi mesi, più di sette italiani su dieci dichiarano attrattiva una carriera nel pubblico. Il motivo non sorprende nemmeno i più ingenui: la stabilità, indicata all’incirca dal 44% degli intervistati, è l’assicurazione sulla vita che il nostro immaginario collettivo considera imprescindibile. A ruota, un altro quarto abbondante vede nel pubblico un valore di esperienza professionale, con procedure codificate, ruoli chiari e il fascino discreto della continuità.

Stabilità, dunque. Parola che in Italia suona come una ninna nanna generazionale. Per qualcuno è la brezza che sposta appena i fogli sulla scrivania; per altri è una diga contro l’imprevisto. In ogni caso, il “cartellino” mantiene il suo carisma. Non tanto per una nostalgia passatista, quanto per la sensazione che la Pubblica Amministrazione offra regole del gioco leggibili, tempi riconoscibili e un orizzonte che non ondeggia ad ogni cambiamento di algoritmo o di management.

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Vocazioni e realtà

Eppure, se abbassiamo lo sguardo sull’universo dei più giovani, l’immagine si fa più sfumata. Tra studenti di scuole medie e superiori, restano in cima i mestieri a forte vocazione sociale e tecnico-scientifica: medico, insegnante, ingegnere, psicologo, avvocato. È la geografia dei “lavori che cambiano il mondo” oppure, più sobriamente, dei lavori che i ragazzi vedono più spesso in famiglia, a scuola o nelle serie TV. Tuttavia, anche in questa mappa idealistica, il richiamo della stabilità non scompare. Si sogna di cambiare il mondo, sì, ma con la tranquillità di un contratto robusto, un reddito prevedibile e la prospettiva di non dover ricominciare da capo a ogni crisi ciclica.

La domanda vera, allora, non è chi sogna la PA, ma perché la sognano in così tanti. La risposta abita a cavallo tra economia e cultura: salari che spesso corrono meno del costo della vita, affitti che ballano un valzer allegro, carriere private talvolta frenetiche e, all’opposto, il lessico rassicurante del pubblico concorso. Dentro questo quadro, scegliere il posto fisso non è un riflesso condizionato, è una strategia razionale.

L’arte digitale della sopravvivenza 

Nel frattempo, il mondo del lavoro ha aperto porte che fino a ieri sembravano quinte teatrali. C’è un’intera costellazione di mestieri “artistici” nel digitale che attrae una fascia crescente di aspiranti professionisti. Programmare oggi non è solo una competenza tecnica: è anche una forma di artigianato creativo. Il programmatore che costruisce un’app, l’hacker etico che scova vulnerabilità per chiuderle e il game designer che progetta mondi interattivi sono tutti, in un certo senso, scrittori di linguaggi segreti.

Tra i più ambiti, i ruoli legati allo sviluppo di videogiochi hanno conquistato un posto d’onore nell’immaginario. L’ideatore di software per il gaming unisce narrazione, estetica, matematica e psicologia. Non è un caso se molte aspirazioni digitali puntano a piattaforme di intrattenimento, ambienti immersivi e, in alcuni casi, a tecnologie connesse all’industria del gioco online, dove abbondano sperimentazioni grafiche, motori fisici e sistemi di ricompensa. In questo ecosistema, anche i riferimenti a compagini meno “autoriali”, come i giochi slot machine online, diventano terreno di evoluzione tecnologica e di design dell’esperienza utente, con tutto ciò che comporta in termini di regolazione, etica e responsabilità.

Certo, restiamo nei confini dell’informazione: sognare un mestiere digitale è legittimo, ma serve una cassetta degli attrezzi concreta. Competenze in linguaggi di programmazione, design dell’interazione, sicurezza informatica, gestione dei dati e un pizzico di spirito imprenditoriale. La creatività, da sola, raramente regge il peso di una release.

Tra sicurezza e voglia di scoprire

La frizione fra il desiderio di stabilità e la curiosità per il nuovo definisce oggi l’aspirazione professionale italiana. Da una parte, il settore pubblico come approdo sicuro; dall’altra, i mestieri digitali come spinta verso l’ignoto. Non sono universi inconciliabili. Molti professionisti oscillano tra concorsi, bandi, collaborazione con enti e sperimentazioni private. L’ibridazione è ormai regola: un ingegnere può lavorare in un’azienda tech e poi candidarsi a un’agenzia pubblica; un insegnante può affiancare progetti digitali extracurriculari; un sanitario può integrare competenze di analisi dati per la sanità territoriale.

Questa porosità è la vera notizia: il lavoro non è più un binario unico, è una rete di scambi, aggiornamenti, certificazioni e microcarriere. La PA stessa cerca profili tecnici, digitali, data-driven. E le aziende private cominciano a capire che la qualità della vita lavorativa è una moneta forte quanto il pacchetto retributivo, offrendo formule ibride e benefit più maturi rispetto al passato.

Le nuove figure nascono dove non guardiamo

Se qualcosa caratterizza il nostro tempo è la nascita continua di nuove figure. Oggi l’Italia vede crescere ruoli come data analyst per la PA locale, esperti di gestione dei fondi europei, project manager per la transizione ecologica, specialisti di cybersecurity, curatori di comunità digitali, designer dell’accessibilità, esperti di intelligenza artificiale applicata ai servizi pubblici e alle PMI. Domani, toccherà a professioni che ancora non abbiamo nominato, magari a metà fra normazione, tecnologia e relazioni sociali. È un’onda lunga, che richiede politiche attive, formazione continua e un patto culturale: se cerchiamo stabilità, dobbiamo costruirla; se desideriamo innovazione, dobbiamo impararla.

L’ideale del posto fisso nella Pubblica Amministrazione resta potente perché risponde a un bisogno profondamente umano: sentirsi al sicuro mentre si progetta il futuro. Ma l’altra metà del cielo è popolata da mestieri creativi e digitali che promettono autonomia, identità professionale e, perché no, un pizzico di gloria tecnologica. L’equilibrio possibile, oggi in Italia, sta nel tenere insieme queste due bussole: la rotta della sicurezza e quella dell’esplorazione. Se riusciremo a farle dialogare, scopriremo che il vero “lavoro più ambito” non è un titolo in bacheca, ma la possibilità di crescere senza perdere l’orientamento.

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