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Il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli dirige a Varna Anna Pirozzi e Vincenzo Costanzo

Redazione Abruzzo di Redazione Abruzzo
12 Luglio 2025
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Pescasseroli. Il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli dirige a Varna Anna Pirozzi e Vincenzo Costanzo.

L’Opera di Stato Bulgara, guidata da Daniela Dimova, ha affidato alla bacchetta del M° Jacopo Sipari di Pescasseroli, un gala dedicato al melodramma italiano, con l’orchestra del teatro e due acclamati solisti, il soprano Anna Pirozzi il tenore Vincenzo Costanzo, i quali spazieranno tra Verdi, Mascagni, Giordano, Cilea e Puccini

 

Gala dedicato al Verismo all’Opera di Stato di Varna, in Bulgaria, lunedì 14 luglio alle ore 21, ove la sovrintendente, Daniela Dimova ha affidato ad una delle bacchette internazionali consacrate a questo periodo del melodramma italiano, il  Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, la serata che inaugura la passerella delle golden voices del gotha mondiale della lirica, ovvero il récital che saluterà due voci napoletane, Anna Pirozzi e Vincenzo Costanzo. Infatti, dopo di loro calcheranno il palcoscenico della Summer Arena, Diana Damrau, Sonya Yoncheva e Krassimira Stoyanova. “Sono veramente entusiasta – ha dichiarato il Maestro Jacopo Sipari – di poter far musica con due miei carissimi amici con cui ho un’empatia particolare, visto che sono due dei massimi interpetri di questo repertorio, in cui si affronta l’intero ventaglio emozionale, dall’amore, alla vendetta, dall’odio alla gelosia, al sacrificio, sino alla morte”. “Sarà la mia seconda performance in Bulgaria – ha continuato il soprano Anna Pirozzi – dopo la Turandot a Sofia con Daniel Oren non vedo l’ora di cantare con Vincenzo Costanzo, mio concittadino, con il quale ho cantato Tosca all’Opera di Roma, ultimamente, in cui ci furono fuoco e fiamme, molto in sintonia, e sicuramente lo saremo anche questa volta in questo concerto il cui programma terminerà proprio con il duetto che segue la mia sortita in Sant’Andrea della Valle. La passione attraverserà ogni nota, grazie anche alla bacchetta del Maestro Jacopo Sipari, che incontro sul palcoscenico per la terza volta, perfetto per questo programma, in cui farò rivivere le eroine del mio repertorio, da Abigaille a Tosca, da Adriana Lecouvreur a Maddalena de Coigny, sino ad Odabella e Lady Macbeth, in una location fantastica”. “Per me è un assoluto debutto qui in Bulgaria – ha rivelato il tenore Vincenzo Costanzo – pur  avendo tanti amici in questa splendida terra. Ma sono particolarmente felice di condividere questa emozione con due straordinari musicisti, Jacopo Sipari ed Anna Pirozzi, che posso descrivere con il vocabolo “amico” in tutta la sua profondità, come solo può avvenire con pochissime persone. Ho il piacere di ringraziare la sovrintendente dell’Opera di Varna, Daniela Dimova, per il cortese invito, per questo concerto il cui programma, il Maestro Sipari ha inteso impostarlo sulla Verità. Verità delle emozioni, Verità della musica, per un messaggio molto forte del maestro, un messaggio di pace che verrà lanciato da questo palcoscenico, luogo-non luogo, dove l’arte brucia l’istante e ogni maschera è destinata ad avvampare”.

La serata verrà inaugurata dal Nabucco, con la sua sinfonia alla tedesca, che enuclea, i temi dell’opera che il compositore ha ritenuto più efficaci nel tessuto del racconto: la maledizione a Ismaele, la melodia del “Va’ pensiero”, il finale del primo atto e una citazione scopertamente donizettiana. Quindi, aria di sortita del soprano, Anna Pirozzi, che sarà Abigaille, con la sua aria, non cavatina, in quanto posta nel secondo atto, dopo un Allegro che sembra un Beethoven da melodramma e un recitativo degno di Lady Macbeth, prima della violenta cabaletta, ritaglia un Andante, “Anch’io dischiuso un giorno, ebbi alla gioia il core”, che la soavità della melodia e il sognante colore del flauto, impongono di per sé e intanto propongono come anticipazione del finale di morte e contrizione. Il tenore Vincenzo Costanzo, ha scelto di iniziare con il personaggio di Andrea Chènier “Un dì all’azzurro spazio”, uscito dalla penna di Umberto Giordano considerato uno dei capolavori del repertorio verista, eppure il realismo e l’accuratezza della trasposizione storica si coniugano ad una dimensione eroica animata dai profondi ideali e sentimenti che avrebbero potuto abitare un’opera seria di compostezza händeliana. Chénier, quasi un eroe per antonomasia, al quale Giordano aggiunge il contrasto di tinte più tragiche, che emerge proprio nel lirismo in questa pagina. Anna Pirozzi, ritorna, invece, nei panni di Lady Macbeth: l’aria è quella “parigina” del II atto “La luce langue”, viscida, strisciante, con il brivido delle parole “Ai trapassati regnar non cale”, una delle più profonde e consapevoli letture della tragedia shakespeariana che si conosca. Il tenore, poi, si confronterà, invece, con il primo Puccini de’ Le Villi e la romanza di Roberto “Torna ai felici dì” incarnante la mestizia toscana del compositore, racchiusa nel suono dello scorato del corno inglese. Testimone all’orchestra per l’Intermezzo di Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, con i diversi movimenti dei temi contrastanti, i modi arcaici evocativi delle melodie, i temperamenti offerti dallo scivolìo cromatico, i colori chiari della natura, rispecchianti quelli della fatalità amorosa e gli oscuri pugni dei bassi che muovono il sangue, una pagina, questa, che si espande rinforzando, ondeggiando, come il vento e gli stessi sentimenti umani, che fluttuano per i loro ciechi labirinti. Il soprano sarà, quindi la disperata Maddalena di Coigny la quale, pur di salvare Chènier, è disposta a cedere a Gérard, raccontandogli, però, prima la sua tragica storia di orfana e raminga, dopo la distruzione della casa patrizia in “La mamma morta”. La linea melodica di Umberto Giordano è sempre espansiva e fluente, perfino gonfia, ma la scrittura non è mai troppo facile, poiché l’opera tutta procede a strappi, per contrasti, su lesti cambi di battuta, anche di dramma. Seguita da “Donna non vidi mai”, per tutto l’arco della quale Des Grieux, che ha appena conosciuto Manon, non fa che richiamare alla memoria le parole di lei (“Manon Lescaut mi chiamo”) e la musica del precedente duetto. Portrait di Francesco Cilea, interamente dedicato ad Adriana Lecouvreur, a cominciare dall’intermezzo, sinfonico del secondo atto – un adagio senza lentezza che riprende la melodia cantabile dell’aria della Principessa e poi il tema di Maurizio – descritto da archi dolcissimi, morbidi e sin amorosi che accompagnano una Adriana pensosa e un po’ dubbiosa prima dello scontro con la Bouillon, per quindi passare, con la Pirozzi , a spiegare la semplicissima fede artistica, l’attrice è solo un’intermediaria fra il poeta che scrive e il pubblico che ascolta. Con Racine recitava, ma ora canta: ancora in recitativo dice “Io” e subito dopo la voce scivola nel morbido, rotondo arioso in La bemolle maggiore, “son l’umile ancella” che vuole Andante con calma. Vincenzo Costanzo vestirà la giubba di Canio, perfettamente cucita addosso a lui,  guardando a Caruso, la cui strada sta brillantemente percorrendo, intrisa di nero, polvere e gelo, che è quello del teatro, tutto. Si continuerà con l’Intermezzo di Suor Angelica di Giacomo Puccini, pagina d’elezione del Maestro Sipari, un vero e proprio complesso speciale che aggiunge al finale sonorità arcane e luminose, una risposta beatificatrice alla disperazione di Angelica. L’orchestra si muove in punta di piedi entro un dramma fatto di sottili perfidie e di malinconia, sfoggiando una grande varietà di tenui impasti timbrici e dinamiche soffuse. Anna Pirozzi vestirà i panni di Odabella dell’Attila, apparendo nella sua cavatina, quale “guerriera” indomita che vuole ad ogni costo vendicare la morte del padre e la rovina della sua patria. Il coro dei guerrieri barbari ha appena finito di inneggiare alla “possanza”, di cui Wodan cinge il re vincitore: “Urli, rapine, gemiti, sangue, stupri, rovine e stragi e fuoco gioco di Attila” che Odabella osa sfidare l’arroganza del vincitore spinta dal “Santo, indefinito, amor di patria…”. Lei è fra quelle “mirabili guerriere” che difesero i fratelli, e una di quelle “donne italiche, cinte di ferro il seno” che Attila vedrà sempre pugnare “sul fumido terreno”. Finale dedicato interamente a Tosca con Costanzo a dar voce al suo Cavaradossi che verrà caratterizzato attraverso il suo avvolgente tappeto di armonici bruniti nella pagina più nota, la compiuta e appassionata confessione di Cavaradossi “E lucevan le stelle”, che andrà a segnare anche quella sottolineatura psicologica del personaggio, che sarà più che credibile anche nell’immagine. Ed ecco Tosca, che entra in Sant’Andrea della Valle e quel “Mario, Mario…Son qui”, tra l’elogio all’occhio nero e un freno alla gelosia. L’orchestra descriverà come per appunti, abbastanza in fretta, ma con osservazione scrupolosa, nel mezzo di tanto lavorìo, smetterà di ciarlare e, attraverso la bacchetta del maestro, si gonfierà, minaccerà, singhiozzerà, insulterà o pregherà e quanti ascolteranno non potranno fare a meno di pensare come Giacomo Puccini la “sa bene l’arte di farsi amare”, unitamente ai nostri tre eccelsi musicisti.

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