Avezzano. Si terrà il 6 novembre, l’ultima giornata di Work shop sul tema “il rientro a scuola dopo le cure Onco ematologiche”, realizzata nella sala “D. De Sanctis” sede della UOSD Consultori Marsica della ASL1.
L’equipe territoriale del progetto, tutta reperita all’interno dell’organico dei Consultori Familiare ASL, ove psicologo e assistente sociale propongono contesti di confronto tra varie istituzioni, tra cui in primis, il Polo Ospedaliero, i servizi sanitari territoriali e la scuola, al fine di destinare interventi di sostegno operativo e formativo, ai percorsi di reinserimento scolastico del bambino, dopo la dimissione dal reparto di cura.
dopo le prime due giornate, in cui ai moduli formativi ed al lavoro sui gruppi, realizzati con insegnanti e volontari cargiver, sui temi dell’inclusione sociale di minori in terapia onco-ematologica e degli aspetti di psico-oncologia, questo terzo appuntamento, conclusivo del ciclo di work shop, affronterà gli argomenti della costruzione di una rete di sostegno ai genitori ed al minore in terapia onco-ematologica. Già nel primo incontro di apertura, il lavoro con i gruppi e i tavoli tematici, guidati dai professionisti dell’UOSD Consultori Marsica, ha vissuto un momento di grande condivisione emotiva, grazie alla testimonianza portata da Sofia Fagà, Volontaria della Associazione “Agbe”, impegnata nel sostenere le famiglie dei bambini onco-ematologici.
Nell’incontro previsto per il giorno 6 novembre, verrà ancora lasciato spazio ad una testimonianza riportata da Volontari dell’associazione “I Girasoli”, che in questi anni ha portato numerose e significative iniziative di supporto alle famiglie ma anche di carattere preventivo sul tema dell’oncologia in generale e dell’oncologia-ematologica pediatrica. Il confronto multidisciplinare, l’empatizzazione delle testimonianze e dei vissuti, all’interno dei gruppi di confronto, hanno suscitato un contesto di forte intensità emotiva per i partecipanti, favorendo la consapevolezza e la comprensione di bisogni psicologici di quei minori e delle loro famiglie, impegnati a contrastare un male efferato e oscuro, che spesso ci spaventa, fino ad interferisce e dissuadere dalla relazione diretta con il malato o con i suoi cari. Proprio questi invece, in quel momento potrebbero tanto beneficiare di un contesto di relazioni, capace di offrire accoglienza, spontaneità, empatia e discrezione verso i loro sentimenti, offrendo anche piccole ma preziose alternative a quelle emozioni di sofferenza e inquieta apprensione, che spesso rischiano di fagocitare completamente, per mesi spesso lunghi della terapia, le vite di familiari e pazienti.
Queste occasioni di approfondimento, discussione e confronto, su temi che riportano alle sconfinate solitudini della sofferenza e della malattia, stanno rappresentando un luogo ideale, per poter pensare ad una alternativa relazionale, valevole anche nel pensare i servizi alla persona, che parta da proposte comunicative e di sensibilizzazione ma che si trasformino in capacità di superamento dello stigma verso il malato oncologico, nel rispetto della unicità e complessità del loro vissuto, agevolando l’espressione di sentimenti che vadano oltre il formalismo, che superino il sostegno compassionevole, ma riconoscano l’interezza della persona. È assai importante comprendere le dinamiche sociali e psichiche del malato, riuscire a dare evidenza ed espressione a tutte le componenti psicologiche in atto, per quella che si presenta come una esperienza familiare catalizzante, di estremo coinvolgimento di ogni soggetto della famiglia, dal malato, ai genitori e fratelli.
L’enfasi delle testimonianze e della narrazione della lotta, che questi soggetti affrontanto, oltre che del dolore cui resistono, dimostra quanto queste esperienze possano rappresentare un valore assoluto, capace di restituire importantissimi contributi, per tutta la comunità, a livello educativo e formativo, anche per il loro emblematico valore di attaccamento alla vita e per la motivazione alla realizzazione della propria unicità. Ogni paziente infatti affronta, oltre alla battaglia combattuta nel reparto e in terapia, una lotta per l’affermazione di sé, in contrasto con un male che spesso ci spersonalizza. L’esperienza del progetto “Reinserimento scolastico dei minori in terapia onco-ematologica” ha dato modo di far emergere e di ragionare anche su un limite nella capacità di comunicazione, nella dialettica quanto nella predisposizione a immedesimarsi nell’altro, senza essere travolto dalla emotività. Questo rappresenta un vero ostacolo soprattutto per tutti i professionisti, che a vario titolo, dal sanitario al mondo dell’istruzione, passando per la rete di servizi burocratici ed alla persona, si trovino a sostenere il percorso di cura del malato e dei suoi familiari, con le loro forti connotazioni di speranza e paura.