L’Aquila. Era uno dei carabinieri a cui fu affidata la custodia di Benito Mussolini sul Gran Sasso. Ferdinando Tascini, conosciuto per essere stato l’ultimo carceriere del Duce nella prigionia di Campo Imperatore, è morto il 15 marzo all’età di 101 anni, a Città di Castello.
Insignito con targhe e cerimonie ufficiali, in una nota del Comune tifernate viene ricordato come “un distinto signore garbato e gentile, che ha costruito la propria esistenza sul lavoro, la famiglia, i valori di rispetto reciproco e senso di appartenenza con la comunità locale dove ha sempre vissuto”. Appena appresa la notizia della scomparsa il sindaco Luca Secondi e la giunta comunale hanno espresso i più sinceri sentimenti di vicinanza alla famiglia, ai figli Massimo, Maria Teresa, Maria Francesca e Luca, ricordando i bellissimi momenti trascorsi ad ascoltare i suoi racconti di vita e di storia. “Un gentiluomo – ha ricordato – simbolo della nostra comunità”. I funerali si sono svolti ieri a Città di Castello. Ferdinando Tascini era nato a Todi il 28 dicembre 1922 da una famiglia contadina. Il terzo di cinque fratelli. Si iscrive all’istituto agrario Ciuffelli di Todi, ma è costretto ad interrompere gli studi per la chiamata nell’esercito durante il secondo conflitto mondiale. Inviato nel Montenegro per quasi un anno, si arruola poi nell’Arma dei carabinieri. Richiamato in Italia viene scelto per una missione speciale e segreta. Si ritrova a sua insaputa a Campo Imperatore, Gran Sasso, a guardia di Mussolini, fino a quella che in codice fu chiamata “Operazione Quercia”, e che portò il 12 settembre alla liberazione del Duce per ordine di Hitler.
“Erano le 14.30 del 12 settembre 1943 – ricordava il giorno del suo 101esimo compleanno – e non ero di turno. Stavo nella mia camera ed a un certo punto sentii gridare che erano arrivati i tedeschi e mi affacciai dalla finestra. Vidi un aliante che era già atterrato e c’era un ufficiale con la mitraglietta pesante rivolta alla mia finestra. A quel punto sono stato fermo e aspettavo ordini, se impugnare le armi o arrenderci”. “Dopo ci ordinarono di scendere disarmati e arrenderci. Vidi tutti lì. I tedeschi avevano già circondato l’albergo, strinsero il cerchio e provarono a disarmare un ufficiale ma furono fermati dal tenente Faiola. Ormai il nostro compito finiva lì e con noi si comportarono abbastanza bene. Poi mi ricordo una cosa: quando atterrarono gli alianti, Mussolini si affacciò ma non vedeva chi c’era. Voleva sapere chi fossero se americani o tedeschi. La sensazione era che Mussolini aspettasse più gli americani dei tedeschi”, osservava. Finita la guerra Tascini riesce a conseguire il diploma di perito agrario. Nel ’50 si trasferisce in alta valle del Tevere insieme alla moglie Adiana (“la maestra di Riosecco”) dove a Città di Castello crea una azienda agricola specializzata nella tabacchicoltura. Termina la sua attività lavorativa presso la Comunità montana della città. Ha vissuto con la sua numerosa famiglia, quattro figli, nove nipoti e sette pronipoti, godendosi l’ombra della quercia centenaria da lui curata con amore: il suo luogo preferito.