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Giudice condanna azienda: abnorme licenziamento di un ingegnere per insubordinazione

Giada Salvati di Giada Salvati
9 Dicembre 2023
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Avezzano. La condanna al risarcimento e all’indennità di mancato preavviso è stata adottata dal Giudice del Tribunale di Avezzano, Antonio Stanislao Fiduccia, su richiesta dei difensori dell’ingegnere marsicano, gli avv.ti Renzo Lancia e Salvatore Braghini, nei riguardi di Ingeteam Srl, un’azienda multinazionale che in Italia ha sede a Ravenna e si occupa dello sviluppo di tecnologie, controllo di sistemi di automazione, ricerca e sviluppo nei settori dell’industria e dell’energia.

L’ingegnere marsicano, che era stato assunto dal settembre 2019 con contratto a tempo indeterminato e svolgeva mansioni di automation engineer, impugnava il licenziamento per giusta causa comunicatogli dalla società nell’ottobre 2021 per essersi sottratto all’ordine del suo superiore gerarchico di recarsi in trasferta estera in Giordania, al fine di intervenire con urgenza per il ripristino di complessi impianti tecnologici di una società cliente.

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Invero, l’ingegnere, che operava in smart working dalla propria abitazione, aveva dato la sua disponibilità alla trasferta, ma il volo fu posticipato di qualche giorno, talché, a fronte di una durata incerta della permanenza in Giordania e di sopraggiunte problematiche familiari, decideva di non partire più.  La società, che nel frattempo doveva sostituirlo con un collega meno esperto per via dell’impegno già assunto con il cliente della Giordania, contestava all’ingegnere di esser venuto meno ai suoi compiti e doveri professionali correlati al suo status e profilo altamente specializzato, facendo seguire, nonostante le successive giustificazioni del predetto, il suo licenziamento per giusta causa, in presenza (si legge nelle motivazioni) di un ravvisato “gravissimo illecito, che presenta anche profili di insubordinazione” ai sensi del CCNL di comparto, con ricadute molto dannose per l’azienda.

I legali del marsicano eccepivano che la società non aveva debitamente soppesato le giustificazioni scritte presentate dal dipendente ed in ogni caso rilevavano l’assoluta sproporzionedella sanzione rispetto al fatto contestato, anche alla luce del particolare contesto pandemico e di condotte sempre collaborative da parte dell’ingegnere, trattandosi comunque di un rifiuto motivato e non già frutto – come inteso dalla società – di un arbitrario ripensamento da parte dello stesso.

Il Giudice del lavoro accoglieva la tesi del collegio difensivo, ritenendo che il rifiuto alla trasferta non configurasse una deliberata ed arbitraria opposizione alle disposizioni dei suoi superiori gerarchici poiché manifestato “sul presupposto di una grave situazione familiare, rappresentata e ben conosciuta dalla stessa azienda, che, infatti, gli aveva concesso di svolgere la prestazione lavorativa in modalità ‘smart working’ dalla propria abitazione”. Nel caso specifico – continua la sentenza – il rifiuto non è stato “il frutto di una contrapposizione ostile, polemica od ostruzionistica del dipendente alle direttive adottate dai superiori gerarchici, ma piuttosto di una sua ritenuta difficoltà ad ottemperare alle stesse in ragione della propria attuale situazione personale”, tanto più che la durata della trasferta era effettivamente incerta, come emerso anche dall’escussione dei testi, e la soluzione del problema agli impianti della società cliente in Giordania avrebbe comunque richiesto un lavoro di équipe con ingegneri spagnoli.

In buona sostanza – in accoglimento della tesi degli avvocati Lancia e Braghini – il comportamento del dipendente non può ritenersi inadempimento grave degli obblighi di fedeltà e diligenza né, peraltro, comportamento contrario al c.d. minimo etico o al comune vivere civile, tali da incrinare irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore, potendo l’azienda ben ricorrere ad altre sanzioni conservative, come la sospensione.

Pertanto, il Tribunale dichiarava estinto il rapporto di lavoro di lavoro alla data del licenziamento e condannava la società, oltre alla refusione delle spese legali, al pagamento di indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre all’indennità di mancato preavviso.

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