Roma. Una grande folla davanti alla Chiesa degli Artisti a Roma, dove si stanno tenendo i funerali di Michela Murgia. Il feretro, appena arrivato, è stato accolto da un lunghissimo applauso, diventato un’ovazione, di tanti lettori che si sono organizzati per venire anche attraverso un gruppo Telegram con 600 iscritti dove hanno deciso di rendere omaggio alla scrittrice anche indossando una maglietta bianca.
In chiesa i figli d’anima di Murgia e grandi amiche e colleghe come Chiara Valerio, Chiara Tagliaferri, Teresa Ciabatti. Ci sono anche Roberto Saviano, Paolo Repetto, Elly Schlein, Sandro Veronesi e Lella Costa, venuti a dare l’ultimo addio alla 51enne sarda. Dopo aver reso pubblica la sua malattia la scrittrice, drammaturga, opinionista, ha raccontato sui social i momenti privati, celebrando la sua famiglia queer ma anche continuando le sue battaglie da attivista per i diritti.
Un’ammiratrice espone lo striscione God save the queer, la scritta che Michela Murgia aveva sull’abito di nozze. Tra gli omaggi floreali una composizione verde con il mirto e la corona di Roma Capitale. Una comunità, quella di Cabras, la terra dei Giganti di Mont’e Prama, che si stringe intorno alla madre, al fratello e alla zia che ancora vivono nel paese in provincia di Oristano.
Un legame, quello tra Michele Murgia e le sue radici, che non si è mai spezzato anche dopo il successo e il trasferimento nella penisola. “Michela non c’è più. Sentiremo subito la sua assenza, una grande perdita per tutti – scrive il sindaco Andrea Abis sui social – Michela era mia coetanea, stessa scuola, stessi ambienti, figli dello stesso tempo storico. Michela era una mente fervida, una intelligenza spiccata, colta, di forte personalità, schietta, coraggiosa, sempre schierata in modo chiaro, avvolgente, anticonformista. Non poteva che essere anche divisiva, di contrasto, ma è proprio grazie a queste figure che la società si mette in discussione, cambia, si evolve, migliora. Cabras ha dato i natali e cresciuto una grande donna che lascerà un segno nella società del nostro tempo”.
Un mese e mezzo in un call center a vendere aspirapolveri al telefono. Pagata 230 euro lordi al mese più otto per ogni appuntamento fissato. Era il 2005, Michela Murgia aveva 33 anni. Da quell’esperienza in una delle postazioni cagliaritane – anche in Sardegna allora ce n’erano tante – era nata la sua storia di scrittrice. Prima di denuncia, attraverso il blog poi diventato la bibbia del precariato del nuovo millennio, “Il mondo deve sapere”, da cui è stato tratto il film “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì. E poi scrittrice di tanto altro. Autrice pure di romanzi con la Sardegna nelle radici e nel cuore: il suo “Accabadora” aveva fatto conoscere a chi delle tradizioni dell’Isola sapeva poco, una terra anche piena di misteri. Quasi una sorta di contraltare alla Sardegna del sole, del mare e delle vacanze.