Marsica. Tra gli spettacoli più apprezzati dagli antichi romani vi erano sicuramente i combattimenti tra gladiatori, che a Roma si disputarono per oltre sette secoli, dal 264 a.C. al 439 d.C. circa.
Tra i gladiatori vi erano diverse specializzazioni, dette familiae, riconoscibili tra loro dai costumi e dal tipo di armi con cui combattevano nell’arena. Tra i più celebri c’erano il Trace, il Mirmillone e il Reziario, ma oltre a questi vi erano altre due categorie, altrettanto conosciute e tifate, “ereditate” dalle popolazioni italiche: i Samnites e i Sergiolus.
I primi, come si può ben intuire dal nome, provenivano dalle terre del Sannio. I secondi, invece, erano reclutati tra Marsi, Peligni e Sabini, infatti il nome Sergiolus stava ad indicare la tribù di appartenenza, ovvero la Sergia, in cui i romani avevano iscritto quelle popolazioni italiche. Ma tra i gladiatori Marsi, come riporta anche Cesare Letta in un suo celebre studio, alcuni erano noti anche con il cognomen “Gallus”, che ricorre in alcune iscrizioni trovate sia in territorio marso che ad Alba Fucens.
Oltre ad essere idolatrati nell’arena, i gladiatori erano anche molto ricercati anche dalle matrone, che erano disposte a pagare cifre da capogiro per passare una notte in loro compagnia. Le donne che non potevano permettersi questo lusso compravano a caro prezzo delle ampolle con il loro sudore, che all’epoca era considerato un potente afrodisiaco. Il poeta Giovenale, per farci capire quanto fosse forte l’ossessione che alcune donne romane provavano per i titani dell’arena, ci racconta la storia di “Sergino”, un epiteto che il celebre poeta romano usa al posto del nome, per indicare il cognomen Sergiolus. Questo gladiatore, nonostante non fosse un uomo bellissimo poiché sfregiato e coperto di cicatrici, era comunque uno degli uomini più desiderati dell’impero, che fece perdere la testa persino a una certa Eppia, la moglie di un senatore, che per lui lasciò casa, marito e figli. Giovenale spiega a modo suo la cosa, dicendo che le donne erano attratte dai gladiatori perché “è il ferro che amano”. Il poeta romano non usa a caso questa frase, ma perché gioca su un duplice doppio senso, ovvero quello del ferrum/spada, ma anche sul fatto che i foderi delle spade in latino si chiamavano vagina. Grazie a questo simpatico racconto di Giovenale oggi scopriamo che la marsica non era solo una terra di impavidi e fieri guerrieri, ma anche di gladiatori, molto apprezzati dalle donne.