Se l’aria buona e l’acqua incontaminata erano doni della natura – Fara S. Martino, ai piedi della Majella, è un luogo unico per la produzione di pasta, col suo clima asciutto e ventilato, che permette una perfetta essiccazione, e la sorgente pura del fiume Verde – sugli altri due ingredienti fondamentali per avere una pasta d’eccellenza, i grani e la lavorazione, ci mise molto del suo.
“La lavorazione“, continua, “è in tutto e per tutto quella di una volta. Le semole sono impastate a freddo con acqua purissima non riscaldata. La sfoglia passa lentamente attraverso le trafile in bronzo, che assicurano alla pasta la ruvidezza necessaria per esaltare il sapore dei nostri sughi. L’essiccazione, infine, avviene con modalità ormai quasi “superate” visti i ritmi imposti dai tepi moderni: 48 ore, in maniera naturale, su telai in legno di faggio, a una temperatura di 46-48 °C, il che permette di conservare il più possibile intatte tutte le caratteristiche nutritive ed organolettiche“.
Con quel tipo di macchine, con quei ricordi, con quei segreti, che mastro Peppe ha trasmesso alle nuove generazioni che oggi guidano l’azienda, al pastificio Cocco continuano a produrre la pasta di quei tempi lontani. Procedere con questi metodi, assolutamente artigianali, vuol dire impiegare più tempo e più spazio, vuol dire produrre piccole quantità di pasta. Ma vuol dire, innanzitutto, mantenere il sapore ed il gusto della pasta di una volta. Buona e sana come allora.


Questa storia di successo assume un sapore amaro imprevisto. Avevamo intervistato appena una settimana fa Elisabetta e Lorenzo Cocco, portavoce e guide dell’attuale corso aziendale, quando il 18 novembre è arrivata la tremenda notizia: il cavaliere Giuseppe Cocco, mastro pastaio e fondatore dell’omonima azienda artigiana di Fara San Martino, si era spento a 92 anni. Il papà della “pasta di una volta”, apprezzata in tutto il mondo finanche al Vaticano, si era spento. Ecco, allora, che questa storia vuole anche essere un omaggio a questo grande imprenditore, che ha dedicato tutta la sua vita alla pasta.
Per prima cosa andò a recuperare ovunque vecchi macchinari risalenti ai primi del Novecento, i soli, a suo dire, capaci di trattare la materia con la delicatezza e l’attenzione necessaria. E poi, in tempi in cui c’era assai meno attenzione di oggi, fin da subito impose dei requisiti di qualità assoluta sulla lavorazione e sulle materie prime.
“Se chiedi a qualunque pastaio com’è lasua pasta, ti risponderà che è la più buona del mondo“, interviene Lorenzo. “Se non fosse così, avrebbe fallito nel suo mestiere. Fare la pasta è una cosa facilissima: si prende una semola, si aggiunge acqua, gli si da una forma e poi si asciuga. Non ci sono ingredienti segreti, mala differenza è una sola: la qualità percepita nel piatto. Lì si capisce se hai di fronte una pasta di qualità o no. Perché una pasta buona si capisce subito, anche senza essere esperti. Anzi, un bambino la capisce meglio di noi! E poi c’è la questione della digeribilità, caratteristica che riconosci e apprezzi nel tempo“.






