Avezzano. Trentunesimo appuntamento con Psicotime, la rubrica psicologica in collaborazione con la psicologa Giulia D’Ascanio. Quante volte vi è capitato che, durante una discussione o un confronto, la vostra rabbia del momento vi abbia portato a una crisi di pianto? Proviamo a immedesimarci in una scena che sicuramente, anche in modalità diverse, tutti abbiamo vissuto: una persona sente che le è stato fatto un torto, ha la sensazione di non riuscirsi a spiegare o di non essere capita, il dialogo si accende, si va sulla difensiva o si contrattacca e quello che si percepisce è un forte nervosismo o una rabbia interna che non si riesce a tollerare; la conseguenza molte volte è quella di scoppiare a piangere. Cosa ne rimane a quel punto?
-
- Chi esce dalla stanza piangendo, sente di essere incapace di difendersi;
- Chi rimane nella stanza reputa di avere di fronte una persona troppo sensibile;
- Il confronto su ciò che è avvenuto, di fatto, non c’è stato.
- Con molta probabilità, passerà del tempo prima che i due interlocutori si parlino e quando questo accadrà, non torneranno sul discorso lasciando un insoluto, sia emotivo che relativo all’evento.
In questi casi si parla di incapacitazione, cioè la persona che affronta il litigio, di fronte la propria rabbia perde la capacità di ragionare e concentrarsi sul focus dell’accaduto, si confonde e piange. Più in generale, la nostra mente ha sempre bisogno di chiarezza, cioè di dare nome e senso a tutte le emozioni che prova e delle motivazioni che ne sono alla base; quando questo non avviene, c’è una forte confusione che può sfociare in nervosismo, ansia, paura e quindi si reagisce con le lacrime. Tornando alle situazioni di diverbio, le persone che reagiscono con il pianto stanno esprimendo in realtà due emozioni: la rabbia per quello che ha “subito”e la tristezza; la tristezza sopraggiunge perché non ci si sente capiti o addirittura di essere attaccati o giudicati per la propria rabbia. È come se a quel punto ci si dicesse: “Vedi, non sei stata ascoltato e oltretutto sei incapace perché non riesci nemmeno a farti capire”; oppure “Mi sento in colpa per aver fatto arrabbiare l’altro, ma non riesco a spiegarmi e ora penserà ancora ancora male di me” o ancora “Sono arrabbiato, ma temo la reazione dell’altro, non so che fare”. Insomma, non si tollera la frustrazione.
Le persone “più sensibili” possono avere difficoltà a:
- Credere fino in fondo che la propria rabbia sia giusta, nonostante ipotetiche conferme dall’esterno;
- Gestire la rabbia in maniera funzionale
- Mettersi in una posizione di “inferiorità” verso le parole delle altre persone
Che cosa puoi fare se ti incapaciti? Usa la tecnica delle “3 R”:
- Respira. Sembrerà banale ma il semplice atto di respirare stimola la concentrazione. Come? Per respirare in profondità (gonfiare la pancia) occorre concentrarsi. Questa concentrazione, sarà di aiuto per prendere un attimo di tempo e avviarti alla seconda fase:
- Ragiona. Ritorna dentro di te e chiediti: “Perchè mi sono arrabbiato?”, “Cosa ho sentito, cosa mi ha ferito?” “Qual è il punto?”. C’è sempre un motivo per cui senti un’emozione, riflettici!
- Rimani. Fermati e rimani nella relazione, non lasciarti scavalcare da tutte quelle emozioni che provi dentro e che possono essere collegate a situazioni passate o che poco c’entrano con quello che stai vivendo (paure, timori, insicurezze…).
Tu hai la responsabilità e puoi darti la possibilità di “difenderti”.
Giulia D’Ascanio, psicologa clinica