Avezzano. Il Parco Regionale Sirente Velino è stato istituito nel 1989 e da 31 anni vive in uno stato di estrema precarietà: senza strumenti per una sua efficace gestione come il Piano del Parco, il regolamento, lo Statuto o la Pianta organica. In tutti questi anni la vita dell’Ente è stata costellata da gestioni commissariali come quella attuale, da conflitti in seno alla comunità del Parco e da riduzioni significative del perimetro dell’area protetta che, tra il 1998 e il 2011, sono state messe in atto da Giunte regionali di diversa appartenenza politica.
Un modo di procedere, dunque, che sottolinea come per la politica abruzzese il Parco regionale del Sirente Velino non è mai stato una priorità né una risorsa su cui investire per il futuro dei 22 comuni interessati. In realtà, una forte responsabilità per il mancato decollo del parco, oltre al disinteresse della politica regionale, lo si deve ai comuni del Parco e all’eccesso di condizionamenti localistici che hanno inciso in maniera negativa su un modello di gestione e una legge istitutiva inadeguate e da superare.
Proprio per superare queste criticità, il Consiglio regionale sta discutendo dal 2014 una proposta di legge di modifica della governance dell’Ente Parco del Sirente Velino, ma una serie di emendamenti e richieste di modifiche non condivisibili hanno sostanzialmente bloccato la legge e prodotto invece l’attuale proposta di riduzione del perimetro dell’area protetta che rappresenta un atto illogico dal punto di vista giuridico e tecnico che sarà di sicuro impugnato dal Governo al quale ci rivolgeremo con urgenza.
Il disegno di legge appena approvato dalla Giunta regionale, infatti, mette in discussione l’attuale perimetro del Parco regionale riducendolo di 8mila ettari ma “deve” tenere ovviamente conto che sulla stessa area insiste la Zona di protezione speciale Velino-Sirente (ZPS) che interessa una parte ben superiore al perimetro del Parco stesso e che continuerebbe ad esplicare il suo regime di tutela. In sintesi nel territorio che viene “tagliato”, per scelta della Regione e la complicità dei comuni, non saranno applicate le regole dell’Ente parco ma rimarranno in vita quelle previste dalla ZPS che, a sua volta, sarà sempre gestita dallo stesso Parco.
Dunque si taglia un pezzo di Parco ma quello stesso pezzo tagliato ritorna a essere gestito sempre dal Parco. Per fare cosa? Per permettere quale cosa che invece il Parco non avrebbe permesso? Per controllare meglio la popolazione di cinghiale o per non pagare i danni da fauna selvatica? Qual’è la logica di portare sullo stesso territorio due diversi livelli di tutela (quello del Parco e quello della ZPS) anziché avere un regime unitario di tutela rappresentato dal solo Parco che, nella realtà dei fatti, è anche più vantaggioso per le comunità locali?
Tutte domande alle quali non siamo in grado di fornire una risposta razionale, se non quella di aggravare la confusione che regna in quel territorio per continuare a delegittimare la scelta virtuosa fatta dai comuni trent’anni fa a favore del Parco regionale e che oggi si prova a smontare per renderlo ancora più debole e per poi poter sperare che tutto venga spazzato via. A questo gioco noi ci opponiamo e denunciamo, invece, la pervicace volontà della Regione Abruzzo di mantenere nella precarietà l’Ente parco: senza una governance effettiva e commissariato dal 2015, senza un direttore e senza personale tecnico (tutti andati via) e dunque le scelte tecniche e quelle politiche sono attuate dal solo commissario, in evidente conflitto di interessi poiché sarebbe anche l’autorità regionale che dovrebbe vigilare sul parco e senza consiglio direttivo legittimato e plurale, mentre oggi decidono solo pochi sindaci in sintonia con la maggioranza che governa la Regione.
Insomma si vuole continuare a lasciare l’Ente Parco debole e nella precarietà tant’è che tutte le proposte che il mondo ambientalista ha avanzato negli ultimi anni alla Regione per rendere efficace la gestione del Parco sono rimaste nei cassetti. Non si ha notizia della richiesta di ridurre il numero dei componenti del consiglio direttivo e di nominare il presidente dell’Ente sulla base di competenze specifiche da parte del presidente della Giunta regionale. Non si parla di responsabilizzare la Comunità del Parco ampliandone le funzioni di indirizzo e, magari, creando una Consulta di tutti i portatori di interessi del territorio per migliorare la partecipazione delle comunità locali.
Citiamo solo alcune delle proposte che abbiamo avanzato in questi anni che, insieme a una maggiore dote finanziaria e di personale, possono rendere il Parco più forte e attrattivo per i territori interessati e reggere alle sfide di conservare il Camoscio che con fatica abbiamo riportato sulle montagne del Parco e garantire che la presenza dell’Orso bruno marsicano non continui ad essere messa a rischio dalle inadempienze della Regione sul PATOM o da progetti di altre obsolete ed inutili infrastrutture sciistiche.
Se la Regione Abruzzo non è in grado di garantire tutto questo, dimenticando di essere stata la Regione italiana dei parchi nazionali e con una straordinaria esperienza di gestione delle riserve naturali da parte delle associazioni ambientaliste, allora chiediamo che il Sirente Velino diventi nell’immediato Parco nazionale, così liberiamo un pezzo di appennino dalle mani di una politica regionale inadeguata che mantiene in ostaggio un territorio fondamentale per la conservazione della biodiversità.