Avezzano. Giovanbattista Venditti dice basta al rugby giocato. E’ lui stesso a comunicarlo attraverso una nota diffusa sul proprio profilo facebook. Da capire se lo stop sarà definitivo o temporaneo. E’ una notizia che non arriva come un fulmine a ciel sereno, però. Giamba non hai mai nascosto l’intenzione e la precisa volontà di costruirsi un futuro dopo la carriera agonistica. Per farlo si è rimboccato le maniche, è tornato sui libri di scuola, ha conseguito una laurea e un master, ha seguito corsi e ha continuato a formarsi, sacrificando tanto della sua vita privata e della sua stessa carriera.
Ma “il delinquente della palla ovale”, come è affettuosamente soprannominato negli ambienti, è così: determinato, testardo, coraggioso. Come solo un abruzzese sa essere. Giamba, 44 caps e 8 mete con la nazionale, non è amato solo per le sue gesta sul campo, ma anche e soprattutto per il suo inconfondibile stile lontano dal rettangolo verde: educazione e garbo, gentilezza e simpatia, rispetto e condivisione di quei valori di cui si fa araldo . Giovanbattista, prima che essere un grande giocatore di rugby, è un grande uomo.
Un esempio da seguire, in campo come sui libri di scuola, un leader che ha sempre messo il gruppo davanti al singolo. Una guida, per capire come nella vita anche il campo di via dei Gladioli di Avezzano possa essere un trampolino di lancio verso la scalata ai vertici più alti dello sport. L’affetto che gli italiani nutrono verso Giamba è immenso. E non lo si dice così, tanto per, in virtù della scia emotiva del momento, ma perché è davvero uno dei giocatori simbolo degli ultimi 15 anni del rugby tricolore. Ovunque vada riceve apprezzamenti, abbracci, sorrisi. Chi scrive non lo ha mai visto una sola volta tirarsi indietro di fronte a una foto o a una richiesta di autografo. A costo di passare le ore a farlo.
Chiedete conferma a chi, in quel dell’Aquila, era presente quando le Zebre (franchigia di cui ha vestito la maglia fino a questa stagione) hanno affrontato il club gallese dei Dragons. La disparità di trattamento tra lui e gli altri giocatori presenti è stata quasi imbarazzante. Erano migliaia ad applaudirlo, a incitarlo e a urlare il suo nome. Lo stadio era tutto per lui e quando, a partita ormai conclusa, c’è stata l’invasione di campo per salutare i giocatori, l’ala avezzanese è stata letteralmente sommersa. Centinaia i bambini che lo rincorrevano, che da lui volevano un saluto o un cenno di considerazione. Da queste parti potremmo dire che sì, quel giorno, Giamba Venditti ha chiuso lo stadio.
Di ricordi e aneddoti ce ne sono tantissimi e chissà che uno di questi giorni non vedano la luce. Ma non ora. Oggi vi lasciamo con le sue parole, velate di orgoglio e malinconia. Perché il finale avrebbe potuto essere diverso. Avrebbe dovuto essere diverso. Giamba è un valore aggiunto per il rugby e per lo sport italiano più in generale. E’ stato un privilegio seguire la sua carriera. Prima da conoscente, poi da giornalista, poi da amico. E a lui voglio solo dire grazie. Per le emozioni, per i momenti indimenticabili, per tutti gli insegnamenti dati e per tutti quelli che verranno. Perché, mio caro Giamba, la prossima meta sarà la più bella. Di questo ne sono certo. Ne siamo certi.
Ecco quanto dichiarato da Giovanbattista Venditti:
“Quando avevo 9 anni, dopo il primo allenamento della mia vita feci una promessa a mio padre: sarei diventato un giocatore professionista e avrei vestito la maglia della nazionale; il tutto divertendomi. Quella maglia ho avuto la possibilità di indossarla tante volte, sempre ho cercato di onorarla e il divertimento non è quasi mai mancato”
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“Non è stato facile. Fin da quando ho dovuto lasciare la casa dei miei genitori a 15 anni per inseguire la mia strada, sono tantissime le cose che durante la mia carriera ho dovuto sacrificare per raggiungere il mio sogno e mantenere la mia promessa. Ma nulla era mai stato vissuto come un peso perché ogni sacrificio mi avvicinava al mio obiettivo. Nell’ultimo periodo però è stato tutto più difficile; da quel maledetto infortunio del 2017 tante cose sono cambiate: gli allenamenti erano diventati più duri, le trasferte sembravano non finire mai e anche le partite avevano un sapore diverso”
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“Ho vissuto un contrasto tra mente e cuore e ho capito che il rugby, vissuto in questo modo, non è più la mia priorità e per questo preferisco fermarmi adesso. Ci sarebbero da dire tante cose sulle questioni che mi hanno portato a prendere questa decisione ma per il momento vi dico che ho bisogno di una pausa e di stare vicino alla mia famiglia. Vi ringrazio per il sincero affetto che mi avete continuamente dimostrato e sarò sempre grato a tutte quelle persone che nei momenti di difficoltà mi hanno dato una parola di conforto. Adesso probabilmente avrò ancora più bisogno del vostro sostegno”.